I Beatles non erano ancora nati. E le canzoni di San Remo non potevamo cantarle: eravamo piccini.
Però, pur recintando versi del tipo “Oh che giorno beato…” oppure “Combattevo con le rondini…”, quell’ora ci dava allegria. Anche quando facevamo il solfeggio per scandire i tempi. A Scuola non c’era il metronomo.
Abbiamo sempre apprezzato la musica, ritenendola una delle massime manifestazioni della componente spirituale, perché espressione di armonia di suoni ma anche di proporzioni e simmetrie di ritmi in un connubio che ripropone splendidamente equilibri presenti solo in natura.
E, tuttora, riteniamo che l’educazione alla musica debba costituire un insegnamento obbligatorio per i giovani in quanto le sue regole armoniche possono elevarsi a guida morale per i comportamenti e per la gestione dei rapporti interpersonali.
Noi siamo convinti che, se lo sport prepara il fisico, la musica attrezza l’anima, ne accresce l’emotività, ne affina le forme di espressione, ne amplifica le modalità di manifestazione.
Chi ama la musica, ama il prossimo, ama la vita.
Ancor più, ovviamente, se essa non è solo “ascoltata” ma anche “creata” attraverso l’utilizzo degli strumenti che l’ingegno umano ha realizzato e che la riproducono rendendo “vive e palpabili” energia ed emozione racchiuse nelle note di uno spartito.
In questo, il violino è senz’altro il principe di tutti gli strumenti.
La dolcezza del suono, la capacità di ben distinguere la frequenza e l’altezza delle vibrazioni, la “libertà” di scelta interpretativa offerta dall’assenza di riferimenti per la posizione delle mani, lo rendono l’“intermediario” più idoneo a trasferire la carica di turbamento, partecipazione e passione presente in chi lo usa e in chi lo ha realizzato.
Il violino è una “macchina di precisione”, in uno stato di perenne equilibrio, frutto di un’arte liutaria rimasta quasi immutata da più di 500 anni e tramandata da “maestri di bottega”, al Nord come al Sud, con una produzione di elevata qualità che il mondo ci invidia. Anche se, ormai, non immune dalla “mala” arte di “prodotti cinesi semilavorati” e qui laccati, lucidati e rifiniti per essere offerti sui mercati, magari, con cartigli contraffatti.
Benché alla “scuola liutaria Cremonese” si attribuiscano i maggiori apprezzamenti, avendo annoverato maestri come Stradivari, Guarneri, Amati, Montagnana, gli studiosi sono concordi nel riconoscere che la massima affermazione dell’arte si è realizzata in quella che è universalmente riconosciuta come la “Capitale della Musica Europea”, Napoli, ove, da sempre, la musica è compagna di vita. E, forse, è per questo che “viene vissuta” così come “viene vissuta”.
La sua lunga e costantemente viva tradizione liutaria, risalente a prima del ‘500, trova conferma nella presenza, già a quell’epoca, di ben quattro Conservatori di musica, confluiti, nel 1808, nel prestigioso San Pietro a Majella, e nella prima “vera” scuola avviata da Alessandro Gagliano sul finire del ‘600.
A lui, e ai successivi maestri, Ventapane, Jorio, Della Corte, Postiglione, Colace, Contino, si debbono le regole costruttive dei violini “Napoletani” secondo forme più piccole, smilze e strette di quelle “Cremonesi”, ridondanti e barocche.
Gli ultimi esponenti di questa scuola sono stati i maestri “Annarumma”, padre e figlio, salernitani di nascita e qui deceduti, che hanno consentito di inserire la nostra Città nel ristretto novero dei centri con botteghe d’arte musicale.
Anche se tutto ciò non è noto ai più.
Così come non è certamente noto che i loro attrezzi, le piallette, le sgorbie, le forme e soprattutto i segreti di preparazione delle vernici, passati di mano in mano nel tempo, sono stati donati ad un “allievo di bottega” nostro concittadino, il maestro Ciro Caliendo, che è divenuto custode di segreti che ben potrebbero consentire una degna continuità generazionale.
Peraltro, il maestro Caliendo è stato l’ideatore, dal 1999 al 2010, della rassegna “Violammore” che, oltre ai concerti di musica da camera, ha ospitato incontri di grande valore culturale, quale il “Primo Convegno Nazionale sulla liuteria storica del Mezzogiorno”, con la presenza di studiosi e maestri di livello internazionale. Tra essi, ricordiamo Edward Neill, biografo di Paganini, Giacinto Caramia, al tempo primo violoncello della “Scarlatti” di Napoli, Marco Tiella, architetto presidente dell’”Ente triennale strumenti ad arco” di Cremona.
In quel periodo, la Città è stata pervasa da grande fermento musicale grazie anche alla organizzazione di altre manifestazioni, tra cui il “Festival della Musica Antica”, ideato dal prof. Carmine Mottola, con la partecipazione di musicisti di livello europeo, tra cui Rinaldo Alessandrini.
E’ inaccettabile che queste espressioni del sapere, perfino sottratte a Napoli, siano cadute nel “dimenticatoio” della storia nonostante la presenza, in Città, di un Conservatorio Musicale, il “Martucci”, al quale il mondo della musica riconosce una elevata professionalità nella educazione delle sensibilità e nella promozione dei talenti.
In verità, neppure il “Martucci” sembra ricevere la dovuta attenzione.
Ma non è nostro desiderio approfondire questo argomento.
Ci preme solo sottolineare come sia incomprensibile la freddezza che accompagna la vita di questo Istituto laddove simili realtà, altrove collocate, integrano mirabilmente la vita delle rispettive Comunità, ne supportano la vitalità, ne sostengono la vivacità e sono fonte continua di “energia” grazie a sciami di giovani che diffondono la gioia e la cultura di chi vive la musica e ne fa ragione di vita.
E, poi, tramandano l’arte del fare grazie a scuole interne di liuteria (Parma, Milano, Roma, Cremona), e alla presenza di musei e gallerie con esposizioni di spartiti, strumenti e attrezzi che sono testimonianza del sapere stratificato nei secoli.
Il “Martucci” e l’arte liutaria sono eccellenze già a disposizione della nostra Città e, con le altre tradizioni del saper fare, potrebbero concretamente favorire l’apertura di botteghe-scuola per il commercio, la produzione e la riparazione degli strumenti musicali, riportando vivibilità nei vicoli, nelle piazzette, sulle scalinatelle con una atmosfera di alto coinvolgimento emotivo e proponendo un ambiente urbano di grande valore turistico e culturale.
In luogo del nulla attuale o dei locali per zeppole, panzarotti e fritture.
Noi riteniamo necessario uno scatto morale della Comunità che, partendo dall’accomunare le coscienze, possa avviare la definitiva rivalutazione delle nostre “vere ricchezze umane”, talento, doti artistiche e abilità manuali, così intimamente presenti perché parte del nostro dna di meridionali e mediterranei, eppure così profondamente trascurate.
Il nostro Paese è grande non solo dove è grande la sua arte, ma anche dove è egualmente grande la consapevolezza della sua eccellenza.
Forse è per questo che noi siamo rimasti piccoli.
Certo, la cultura, anche quella musicale, non alimenta forti interessi economici e non offre ampie opportunità di guadagno.
Con i violini non si possono ballare le “tarantelle”.
Ma si possono alimentare le anime e affinare le coscienze.
Questa Città ha bisogno di amore.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione io Salerno
(P.S.: riprendiamo l’appuntamento con i lettori. Anche quest’anno contiamo di offrire argomenti di riflessione e di discussione con l’auspicio di favorire la crescita della Comunità attraverso la partecipazione e il coinvolgimento della sua parte più debole e indifesa: il popolo che nulla può.)
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