Il piccolo Alex è salvo: riuscito il trapianto di cellule staminali del padre

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Il piccolo Alex ce l’ha fatta. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche dal padre a cui è stato sottoposto è riuscito. A dirlo è Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, dove il piccolo di due anni è in cura.

Dopo un mese, spiega il dottor Locatelli, il percorso trapiantologico “può dirsi concluso positivamente“. Il piccolo è “in buone condizioni di salute” e nelle prossime ore lascerà il reparto di Oncoematologia del Bambin Gesù dove è ricoverato. A salvare Alex sono state le cellule del padre: manipolate e infuse nel piccolo dopo un mese dall’operazione “hanno perfettamente attecchito”, riferisce ancora l’esperto.

“Siamo soddisfatti del percorso trapiantologico del bambino, che al momento è stato perfetto“, continua Locatelli. Ora il bambino dovrà sottoporsi a controlli continui. Inizia “una nuova fase, che come in tutti questi casi prevede visite di controllo in Day Hospital con frequenza inizialmente settimanale e poi, via, via, sempre più distanziata”, conclude il dottor Locatelli.

La storia del piccolo Alex

La storia del piccolo Alex ha tenuto col fiato sospeso di migliaia e migliaia di persone. Quando i genitori hanno lanciato l’appello per trovare un donatore che gli avrebbe salvato la vita, si è scatenata una gara di solidarietà. In tanti si sono accalcati negli ospedali di mezza Italia, da Nord a Sud, per capire se le proprie cellule fossero quelle giuste per salvare la vita del bambino.

Alessandro Maria, questo il nome del piccolo, soffre di linfoistiocitosi emofagocitica, conosciuta in medicina come HLH: una malattia genetica molto rara che colpisce solo lo 0.002 per cento dei bambini e che non lascia speranze di vita senza un trapianto di midollo osseo.

“Mi chiamo Alessandro Maria e ho compiuto un anno e mezzo pochi giorni fa”. Iniziava così la lettera di appello dei genitori del piccolo, che, figlio unico, non poteva sperare di avere le cellule di un fratello, che lo avrebbero salvato sicuramente. “Quindi non mi resta che cercare mia sorella o mio fratello maggiore altrove…”, si leggeva nell’appello.

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