Senza contare che l’avvento delle nuove tecnologie e delle produzioni in serie hanno relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un’elevata capacità manuale”. È quanto ha dichiarato Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Confederazione Generale Italiana degli Artigiani.
Continua, inarrestabile, la emorragia delle imprese artigiane. Se, infatti, nell’ultimo anno lo stock complessivo presente in Italia è sceso di oltre 16.300 unità (-1,2%), negli ultimi 10 anni la contrazione è stata pesantissima: 165.500 attività, pari a una flessione dell’11,3%. Una caduta che non si è mai arrestata in tutto l’arco temporale analizzato (2009-2018).
Al 31 dicembre 2018 il numero totale delle imprese artigiane attive in Italia si è attestato poco sopra 1.300.000 unità. Di queste, il 37,7% nell’edilizia, il 33,2% nei servizi, il 22,9% opera nel settore produttivo e il 6,2% nei trasporti.
A livello territoriale, è il Mezzogiorno la macro area dove la caduta è stata maggiore. Tra il 2009 e il 2018 in Sardegna la diminuzione del numero di imprese artigiane attive è stata del 18% (-7.664). Seguono l’Abruzzo con una contrazione del 17,2% (-6.220); l’Umbria con -15,3% (-3.733); la Basilicata con -15,1% (-1.808) e la Sicilia, sempre con il -15,1%, che ha perso 12.747 attività.
Il settore artigiano più colpito dalla crisi è stato l’autotrasporto che negli ultimi 10 anni ha perso 22.847 imprese (-22,2%). Ci sono poi le attività manifatturiere con una riduzione pari a 58.027 unità (-16,3%) e l’edilizia che ha visto crollare il numero delle imprese di 94.330 unità (-16,2%). Sono in forte aumento, invece, imprese di pulizia, giardinaggio e servizi alle imprese (+43,2%); attività cinematografiche e produzione software (+24,6%) e magazzinaggio e corrieri (+12,3%).
Nello studio effettuato dalla nota organizzazione sulle botteghe artigiane, vengono elencati 25 mestieri artigiani che negli ultimi decenni sono pressoché scomparsi dalle nostre città e nei paesi di campagna, o professioni che sono in via di estinzione a causa delle profonde trasformazioni tecnologiche che li hanno investiti. Vanno via via sparendo arti e mestieri quali quello dell’arrotino, del casaro, del fotografo, della ricamatrice. Ma anche del barbiere, del sarto e del calzolaio.
Tanti mestieri, dunque, si stanno spegnendo, consumati dalla voracità della globalizzazione nonché dal disinteresse di chi avrebbe dovuto tutelarli. Dai mille racconti di ciascuna di quelle saracinesche che si stanno abbassando, o dei tanti artigiani che sono costretti ad arrendersi, si può cogliere tutta intera la bellezza della tradizione, dell’arte e della cultura di ciascuna delle nostre comunità.
Quanto ci accade intorno non può essere, allora, derubricato a mera questione di mercato, va affrontato con assoluta serietà e con il rispetto che si deve a chi custodisce e tramanda, con la ricchezza del suo sapere, valori e piccole, grandi pagine di storia.