E’ quando afferma la Corte di Cassazione, VI sezione penale, nella sentenza n. 6129/2019, chiamata a giudicare il ricorso di un uomo condannato per aver maltrattato la moglie con minacce e percosse.
Secondo il ricorrente, il giudice della Corte d’Appello aveva infatti trascurato la brevità della durata della condotta in proporzione a un matrimonio durato 14 anni, poi conclusosi con una istanza di separazione omologata consensuale a seguito della quale la donna aveva continuato a convivere con il marito. Lo scrive Affaritaliani.it
Come riportato dal sito dello Studio Cataldi, a firma Lucia Izzo, gli Ermellini nella sentenza hanno ricordato che l’elemento oggettivo del delitto maltrattamenti in famiglia “è integrato dal compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi”.
Non è quindi necessario che tali atti avvengano in un tempo prolungato, ma è sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale: data la natura abituale del reato, non rileva la circostanza che, durante lo stesso periodo, la condotta dell’imputato sia stata, in alcune fasi, corretta (cfr Cass n. 6724/2017).
Quanto al dolo, nel delitto di maltrattamenti in famiglia è sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in “un ‘attività vessatoria già attuata in precedenza e idonea a ledere la personalità della vittima”.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ricostruito le condotte materiali dell’imputato valutando adeguatamente la spontaneità, costanza, specificità e assenza di intrinseche contraddizioni nelle dichiarazioni della persona offesa e nei riscontri alle stesse offerti ad esempio foto che mostravano escoriazioni ed ecchimosi, un referto medico, sms inviati dall’imputato, dichiarazioni del fratello della vittima che le aveva prestato assistenza in occasione di aggressione, nonché una parziale ammissione dello stesso imputato in relazione a delle minacce.
Maltrattamenti in famiglia: va provata l’abitualità
Tuttavia, secondo la Cassazione la motivazione della sentenza impugnata risulta carente in relazione alla prova dell’abitualità delle condotte, requisito necessario per la sussistenza del reato di maltrattamenti.
Le condotte, precisa la Corte, per essere abituali non devono essere sporadiche: dalla sentenza impugnata, invece, si ricava che in circa un anno sono stati 3 gli episodi integranti la condotta materiale ascritta all’imputato, temporalmente fra loro non distanti, ma neanche propriamente contigui.
Nella motivazione della sentenza impugnata, evidenzia la Corte, manca un’argomentazione che raccordi puntualmente le singole condotte, individuando esplicitamente un atteggiamento volitivoche non si risolva in manifestazioni, seppur ripetute, di contingente aggressività, ma comprovi il consapevole perseverare in condotte lesive della dignità della persona offesa (cfr. Cass. n. 25183/2012).
La sentenza impugnata va quindi annullata con rinvio per un nuovo giudizio, per effettuare un’analisi delle cause che, di caso in caso, hanno prodotto la violenza nel periodo di tempo preso in esame nell’imputazione.
Fonte Affaritaliani.it