L’Italia è stato uno dei Paesi pionieri nell’ambito della salute mentale. Il merito va a Franco Basaglia, psichiatra veneto che, a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta del secolo scorso, prima a Gorizia e poi a Trieste, ha messo in pratica un ideale: chiudere i manicomi. Su queste esperienze – e sul fermento sociale e culturale generato – sono state poste le basi per la legge che porta il suo nome, la Legge 180, approvata dal Parlamento il 13 maggio 1978.
La legge era innovativa per l’epoca e proponeva una serie di servizi alternativi ai manicomi: dai Dipartimenti ai Centri di salute mentale ai Servizi psichiatrici di diagnosi e cura. L’Italia dava vita a una vera e propria rivoluzione antropologica e culturale.
Nel 2018 ricorreva il quarantennale dell’approvazione della legge che si presentò come la “misura legislativa” di un movimento culturale, sociale e politico che, sancendo la chiusura di quei luoghi di contenzione antiumani che furono i manicomi – per sincerarsene basta rileggere L’altra verità. Diario di una diversa di Alda Merini – sfociò in uno dei momenti più alti e felici per la democrazia italiana. Così in Italia, a partire da quel profondo rinnovamento scaturito nella riflessione psichiatrica sui temi della normalità e della follia, si radicò una più consapevole partecipazione democratica alla vita sociale e culturale dei cittadini, degli intellettuali, degli operatori sanitari, degli uomini di cultura. Una stagione che fu segnata dall’accresciuta attenzione per la diversità e per la qualità delle relazioni umane.