“Pasquale Franco – continua il parlamentare – mi parlò della “coscienza infelice” in un pomeriggio di ritorno dal Tribunale, quando avevo iniziato da poco la pratica forense. Era l’espressione che il suo amico Remo Danovi aveva coniato per raccontare il travaglio del penalista stretto tra la difesa dell’innocente, esposto all’ingiustizia di un sistema mal funzionante, e la difesa del colpevole, che spesso di quel sistema si avvantaggia. Un dilemma antico, di cui si stava occupando per una pubblicazione del Consiglio Nazionale Forense. Era un cultore di Kafka. Qualche giorno dopo venne la discussione di quel processo. Lo sentii pronunciare una arringa inesorabile, di una prosa essenziale e pungente, che il movimento della sua mano adunca sembrava scandire come un metronomo. Per tutto il tempo in cui parlò, in quel luogo sembrò esserci solo lui. Quando finì di parlare era esausto. Aveva dato tutto. Mi disse più tardi, allo studio, sormontato da un parete di libri: a noi è affidata la difesa della libertà della società, non solo del nostro cliente. Era la sua risposta ai dubbi di Danovi. Era un socialista libertario e la sua scomparsa è un grande dolore per tutti”