L’Italia la sta faticosamente cercando. Mette da parte le intemperanze del cambiamento in versione export in Francia dai gilet gialli.
Attenua la passione sovranista per i sovranisti autentici, ora che il loro capofila, l’ungherese Orbàn con il suo Fidesz, è sospeso dal PPE per scarso europeismo. Sospetta del modello Brexit, la cui efficacia è tutta da dimostrare agli occhi degli stessi britannici: potessero votare di nuovo, avrebbero un orientamento diverso dal 2016. Sopravvive il caso TAV.
Il Presidente del Consiglio cerca di smussarlo nel colloquio col Presidente francese. Macron laconicamente replica che il caso è italo – italiano e non merita perdite di tempo al Consiglio europeo.
L’Italia è parte di atti internazionali con la Francia e l’Unione europea, è tenuta ad un certo comportamento ora messo in discussione per ragioni di politica interna. O adempie o si espone alle conseguenze dell’inadempimento.
La normalità viene dalla visita di stato del Presidente cinese. Colpiscono gli onori che gli sono tributati con i Corazzieri a cavallo a scortarlo al Quirinale. L’eccesso di pompa ci può stare, la Cina è un gigante sotto tutti i profili, ridurre lo squilibrio commerciale è imperativo. I partner europei hanno da ridire sul punto, gli alleati americani mettono in guardia dalle pratiche di spionaggio camuffate da normali telecomunicazioni. Sta di fatto che il rapporto costruttivo con la Cina s’impone, al pari di quello con la Russia. Non a caso Roma attende a breve il Presidente Putin per riservargli analogo cerimoniale.
La normalità consiste nel costruire i rapporti sulla base della diplomazia classica. Negoziati fra esperti, delibazioni ai politici, firme ai Capi di Governo o di Stato. La diplomazia necessita dei tempi lenti e del riserbo per garantire a qualsiasi manovra l’ombrello protettivo volto a ridurre i contraccolpi.
Un modello in senso opposto è offerto dall’Amministrazione americana. Cambiano i Segretari di Stato, resta lo schema di comunicazione della Casa Bianca, diretto più a stupire il pubblico che a convincere gli interlocutori. Con un tweet il Presidente annuncia che è ora di riconoscere la sovranità d’Israele sulle Alture del Golan.
Le Alture sono nell’agenda del rapporto fra Israele e Siria dalla Guerra dei Sei Giorni (1967). Ogniqualvolta le parti hanno tentato un processo di pacificazione, la restituzione del Golan è stata al centro delle trattative. Dall’alto Israele domina Damasco con una postazione strategicamente rilevante. Per non parlare del vino, il migliore della regione, che si produce lungo le pendici.
Con il tweet l’America dispone delle Alture alla stregua di proprietà americana e dunque cedibili al di fuori di qualsiasi processo negoziale. Lo stile della decisione non è nuovo.
Mesi addietro lo stesso Presidente aveva riconosciuto Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele e deciso il trasferimento dell’Ambasciata da Tel Aviv. Per il Golan analogamente si scontano le proteste del mondo arabo e della Russia, che della Siria è il garante internazionale. Si ignora se Mosca si limiterà alle dichiarazioni o passerà a vie di fatto. E’ lecito presumere che sia stata preventivamente informata da Washington e che ora la sorpresa sia una risposta obbligata.
Da una parte la diplomazia ritrova il passo abituale, dall’altra si impongono nuovi modelli comportamentali. L’Europa continua a preferire l’andamento lento, non esita ad apparire vetusta rispetto al nuovo Continente. Con merito.
di Cosimo Risi