L’uomo aveva presentato ricorso alla Suprema Corte per riottenere il materiale acquisito dai magistrati della Direzione distrettuale di Bari nell’ambito dell’operazione che, nel marzo di un anno fa, ha portato all’arresto del 59enne egiziano, presidente di un’associazione culturale islamica.
Nel ricorso, l’avvocato aveva spiegato che il Tribunale del Riesame di Bari non aveva sufficientemente motivato il sequestro, limitandosi a scopi “esplorativi”, perché nel caso di specie non sarebbero emersi elementi preesistenti che potessero giustificare l’attività delle forze dell’ordine.
Il ricorso aveva poi sostenuto che l’uomo non si fosse mai convertito all’Islam, né che vi fossero rapporti di parentela con uno degli indagati. Il nome del docente era uscito grazie ad una telefonata intercettata tra due indagati dell’inchiesta, poi con un gruppo Whatsapp denominato “ragazze di famiglia” che, secondo la tesi portata avanti dal docente, sarebbe stato utilizzato solo per comunicazioni tra parenti.
Per la Cassazione, invece, in quella conversazione fu pubblicato anche un video poi censurato da uno dei partecipanti. Il ricorso è stato respinto, in quanto il Riesame di Bari – per i giudici di Roma – aveva evidenziato «l’obiettiva sussistenza di elementi indizianti preesistenti e spiegando anche la diretta funzionalità del sequestro per l’accertamento dei fatti».
Il professore, residente in Emilia Romagna, sarebbe stato in contatto con l’uomo arrestato a Foggia per il reato di partecipazione ad associazione terroristica.
Fonte Le Cronache in edicola oggi 16 aprile 2019