Con quel legno si fanno le cassette per la frutta. Tra venti anni, li taglierò e li venderò”. Il nonno ci faceva sedere a debita distanza su uno sgabellino mentre, con il “cumpà” e un paio di aiutanti, squadrava la zona per segnare i filari.
Seguivamo i lavori con attenzione. Ma avevamo un dubbio. Perché, sebbene giovani, non ci sfuggiva come “andassero” le cose della vita.
Così, ci sembrava un poco ottimistico il ragionamento “a venti anni”. Il nonno, ne aveva già quasi ottanta.
Ma era fatto così. Non applicava mai la filosofia del “giorno per giorno”. E pensava al raccolto, mentre seminava il grano, ai prosciutti, mentre “cresceva” il maiale, all’insalata e ai fagioli, mentre curava l’orto. Pur con la sua terza media, già applicava la “gestione per obiettivi”.
Lui sapeva, certamente, di lavorare non più per se stesso. Correva la “staffetta” e aveva in mano il “testimone” da lasciare a chi c’era dopo. E, infatti, i pioppi li tagliarono altri, al suo posto.
Però, non fu quella vendita a motivare, oggi, il suo ricordo.
Il nonno ci aveva insegnato che la nostra vita non può essere fine a se stessa, ma costituisce il cammino in un mondo che non ci appartiene in proprietà e che dobbiamo lasciare ad altri. Forse, siamo in locazione o, magari, in comodato.
E, così, noi sfruttiamo i sacrifici di chi ci ha preceduti. E la stessa Comunità vive beneficiando del “patrimonio comune” realizzato e preservato nel suo interesse. Come vivrebbe, oggi, se lo avessero distrutto?
Guardandoci intorno, non ci sembra che la nostra generazione stia considerando il “bene comune” come il “testimone di una staffetta 4×100”. Neppure mista.
Emergono, da un lato, le posizioni di chi ritiene di esserne il “padrone”, con libertà di disporne per i propri interessi contrabbandandoli, magari, come di utilità sociale, e, dall’altro, quelle di chi ha solo la veste di “spettatore” con poche o nessuna opportunità di poterne godere.
Così, l’intera Città vive una fase di evidente difficoltà. Non è certo un caso se, proprio in questi giorni, sia stato pubblicamente sollecitato, da più parti, il recupero di una immagine di vitalità, di ordine e di pulizia di cui esiste solo il ricordo.
Ma, a nostro parere, lo “scadimento” estetico costituisce l’effetto di un processo di degrado sociale ed economico per la cui soluzione sono necessari ben più approfonditi interventi.
I dati statistici, ci dicono che questa Città ha 133.970 abitanti, che ne ha persi almeno 15.000 rispetto al 2005 e ne continua a perdere circa 1.000 ogni anno solo per il saldo negativo tra nascite e decessi (fonte: Istat).
E ci dicono, ancora, che sono andati via moltissimi giovani ai quali non siamo riusciti a offrire le giuste opportunità di lavoro, costringendoli ad intraprendere i viaggi della speranza e del dolore.
E ci dicono, poi, che i lavori offerti qui sono da manovali/operai, venditori, commessi, magazzinieri, camerieri, addetti alle pulizie, meccanici, assistenti alla persona, badanti (fonte: Inapp).
Forse, avremmo dovuto riflettere meglio su cosa fare per dare un futuro migliore a quelli ai quali passeremo il “testimone”. Perché li abbiamo messi al mondo? Quale sarà il loro giudizio su di noi?
E, invece, abbiamo inseguito i fiocchi e i lustrini, per nostro godimento, trascurando e abbandonando le vere ricchezze della Città tramandate dai nostri predecessori, la sua natura, il suo territorio, il suo ambiente, la sua storia, le sue tradizioni, il suo sapere e saper fare, le sue strutture e infrastrutture che, in quanto “patrimonio di tutti”, avremmo dovuto utilizzare come “fonti produttive originarie” a beneficio di tutti. Niente di più di quanto fatto altrove, con idee e progettualità.
Quale risposta potremmo dare a chi ci chiedesse di indicare la missione di questa Città, o la sua identità, o la sua funzione? Forse, avremmo qualche difficoltà.
Abbiamo trasformato la zona industriale, a parte residui stabilimenti, in un “suk” arabo con supermercati, negozi, ludoteche, pizzerie, centri commerciali e piscine. Il lavoro vero è stato sostituito da impieghi effimeri a “basso costo”. Eppure si potevano incentivare insediamenti nei nuovi settori tecnologici (energie alternative, depurazione, bonifiche, risparmio energetico, mobilità ecocompatibile, trasmissione dati, robotica) che avrebbero richiesto qualità professionali rispettando territorio e natura. Magari, anche una filiera di attività per l’ambiente in grado di creare un polo nazionale.
Abbiamo puntato sul porto commerciale, pensando di eliminare l’insormontabile ostacolo della sua collocazione con perforazioni milionarie di dubbio risultato. E non si è pensato che si poteva investire sulla specializzazione merceologica o funzionale e sul turismo.
Abbiamo puntato sui centri commerciali, dimenticando che siamo una piccola Città, incapace di rappresentare un bacino di utenza significativo. E abbiamo distrutto il commercio locale.
Abbiamo pensato di fare turismo, senza investire sui veri attrattori: parte antica e memorie storiche (edifici abbandonati), tradizioni, ambiente. Non abbiamo forza di richiamo per visite che durino più di mezza giornata e non offriamo pulizia, servizi igienici decenti, negozi ove si parli almeno l’inglese, cartelli multilingue. E, per un porto turistico da vip, che nulla apportano alla Città, abbiamo anche distrutto le spiagge. Considerati i divieti permanenti di balneazione (delibera Giunta Regione Campania n. 137 del 13/03/2018), sugli 8,5 chilometri da Santa Teresa al Fuorni, ne possiamo utilizzare circa 4, controlli permettendo.
Né sembra sia stato fatto abbastanza per sfruttare idee, passione e volontà dei maestri artigiani delle “belle arti” e delle produzioni tradizionali per fare della Città un luogo di Arte e di Cultura.
Volevamo fare il parco pubblico “a tema” più grande d’Italia, Non siamo riusciti a fare neppure un parco giochi degno di questo nome.
Volevamo fare il PalaSalerno per lo sport dei giovani e gli spettacoli. Ci sono rimasti 20milioni di euro di macerie a marcire al sole. E andiamo in trasferta in qualche palasport vicino.
L’unico settore che dà segni di vita è quello delle costruzioni al quale abbiamo offerto i residui “scampoli” verdi” e gli spazi prima destinati ad aree pubbliche. E ciò appare incomprensibile, atteso che la popolazione è in decrescita, sono stimati circa 6.000 appartamenti invenduti, i prezzi sono in calo e la domanda è valutata in ulteriore flessione. Peraltro, la rendita fondiaria/immobiliare è sterile per sua natura, perché improduttiva di altri redditi e tendenzialmente destinata all’accumulo.
E, comunque, non può essere la cementificazione a far “rialzare” la Città. Le condizioni per la sua rinascita possono essere il frutto solo di una accurata miscelazione di più opzioni in funzione di obiettivi compatibili e sostenibili. Ma quali sono i nostri obiettivi? Chissà.
Purtroppo, in questa Città, non sembra si sia ragionato a venti anni, come faceva il nonno. Non ci sono i “filari di pioppi” da tagliare e vendere per i nostri figli ai quali possiamo solo offrire un passaggio per andare a prendere il treno o l’aereo per Milano.
Tutto tace, mentre continuiamo a “baloccarci” con qualche fiera paesana, qualche giro di ottovolante, l’offerta di cuoppi e fritture. Senza spunti di fantasia. Senza identità. Senza educazione. Senza dignità. Senza cultura.
Questa Città ha veramente bisogno di amore.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione io Salerno
Notevole
E soprattutto di una classe dirigente
Purtroppo la odiano in tanti, tra loro molti residenti in città. Povera Salerno.
Parole sante….questa città sta morendo….e il peggio è che forse non se ne rendono conto…
Come non condividere.
Tutto condividibile ma, se la città ha bisogno d’amore, dovremmo iniziare noi salernitani e residenti… a dimostrare amore verso di essa…il resto sono chiacchiere al vento!
Dare la colpa agli altri è sempre facile ma piangersi addosso, criticare tutto e tutti non solo è puerile ma è sintomo di fallimento personale e collettivo, sia dal punto di vista intellettuale che dal punto di vista delle coscienze di ognuno di noi!