Scriviamo queste note a urne aperte, la prossima settimana ci riserviamo il commento di merito sugli esiti, di uno siamo sin d’ora certi: quale che sia il voto britannico, la vera sconfitta è la Premier conservatrice Theresa May, che si è impegnata invano per portare il Regno fuori dall’Unione.
Un commentatore britannico scrive che la sua azione più pregevole è l’annuncio delle dimissioni. Il bilancio è in effetti sconfortante e lei stessa ne è sembrata persuasa, abbandonandosi alle lacrime pubbliche pur nel reiterare l’amore per la patria.
Da Ministra dell’Interno del Gabinetto Cameron si era distinta a Bruxelles per il fiero anti-europeismo. Non c’era dossier che non la vedeva in posizione di retroguardia. Una sovranista autentica che rivaleggiava con Nigel Farage, protagonista dell’anti-europeismo in seno al Parlamento europeo.
L’una e l’altro seguono la tattica dell’entrismo: mi colloco nelle istituzioni, ne sfrutto i vantaggi e le sinecure, mi adopro per svuotarle dall’interno fino a renderne palese l’inconsistenza. All’elettore non resta che cogliere il frutto e decidere di conseguenza: il recesso.
Solo che il recesso si sta rivelando un osso troppo duro persino per questa Signora che ambiva alla ideale successione di Margareth Thatcher. La nemesi europea perseguita i Tories che pure, con Edward Heath, ebbero il merito storico di portare il Regno nella Comunità appena cadde il veto francese. Il rapporto con l’Unione è tosto per tutti: più facile entrare che uscire, anche perché di adesioni abbiamo una consolidata esperienza, di uscite solo la britannica ancora da scrivere.
Il successore più accreditato è Boris Johnson, già Ministro degli Esteri dimissionario in polemica con la mollezza negoziale della Premier. Il suo sarà probabilmente un approccio “sturm und drang” o, se si preferisce, tutto e subito. Il che significherà, altrettanto probabilmente, un recesso senza accordo. Sempre che l’Unione sovranista, che uscirebbe dalle urne di domenica, non gli dia inopinatamente ragione per bruciare se stessa nel falò della vanità di Johnson.
Angela Merkel è leader di tutt’altra statura politica. Non che non abbia conosciuto i momenti di pausa. Si pensi solo all’atteggiamento durante la crisi greca: all’allinearsi alle posizioni del suo Ministro delle Finanze che voleva educare la Grecia per educare tutto il Sud della zona euro.
Merkel ha riscattato e riscatta le derive con la convinzione profonda, che le deriva dal padre politico Helmut Kohl, che è la Germania unificata a doversi europeizzare e non l’Europa a germanizzarsi. La sua longevità alla guida dello stato membro più grande testimonia della fiducia degli elettori per una condotta saggia e ferma.
Alcuni paesi la vorrebbero dimissionaria dalla Cancelleria entro l’anno per assumere l’incarico di Presidente del Consiglio europeo. Lei smentisce: non cercherebbe impegni a Bruxelles di alcun tipo. Pretattica per non bruciare la candidatura? Desiderio autentico di dedicarsi al privato dopo tanti anni in prima linea?
La sua uscita peserà. La successora designata non pare della stessa pasta. L’Italia perderebbe con Merkel un’amica ed un’estimatrice. Ischia è la destinazione della vacanze pasquali, l’Alto Adige delle vacanze estive. Frequenta le nostre regioni con la sobrietà di una donna formatasi nella Germania Est e trasferita adulta a Ovest. Una prova di understatement degna della statista che è.
di Cosimo Risi