Ahimè, un po’ tutti siamo sempre più vittime dell’infobesity, ovvero il sovraccarico cognitivo causato dall’abnorme quantità̀ di informazioni dalle quali siamo continuamente bombardati, a cui sentiamo il dovere di rispondere. Un flusso ininterrotto di mail, messaggi, avvisi, che ci spinge a fare acquisti più̀ velocemente, a prendere decisioni in pochi secondi, a controllare continuamente lo smartphone, a farci restare incollati al display, e che soprattutto ci fa lavorare meno e peggio.
Bisognerebbe tener presente che il nostro cervello non è fatto per ricevere un tale bombardamento in breve tempo. Secondo quanto calcolato dall’università̀ della California, anche se esposti a 34 gigabyte di contenuti ogni giorno, possiamo elaborarne al massimo 120 bit al secondo. Il resto è solo affaticamento, tanto che il sovraccarico cognitivo è una delle cause principali di burnout (l’esaurimento da lavoro).
Come accade per il cibo, ingerire continuamente informazioni ci ha fatto diventare sempre più golosi; non a caso tra gli esperti c’è chi suggerisce di difendersi allo stesso modo con cui curiamo la nostra alimentazione. Praticando, ad esempio, l’autolimitazione, magari usando app di monitoraggio o impedendo l’accesso a determinati siti, servirebbe a tenere sotto controllo l’abbuffata. Ma c’è dell’altro, perché quello di cui spesso non ci accorgiamo è che, proprio come fossero cuochi di trattoria, i primi a servirci piatti ipercalorici sono le società digitali.
A ciò va, altresì, aggiunto un dato maggiormente preoccupante, ovvero che la tendenza virtuosa, registrata negli anni 2000, di una crescita del quoziente intellettivo nelle nuove generazioni si è ormai invertita.
In parole povere, vittime o no della tecnologia, ci stiamo “scimunendo”. Forse non ci sarà neppure una diretta connessione ma, probabilmente, sarebbe già salutare evitare di immortalare o commentare tutto quel che facciamo o ci accade intorno, per l’effimero piacere di condividerlo con amici e conoscenti. Anziché cedere al desiderio di postare la foto della leccornia appena servita in tavola, pensiamo piuttosto a gustarla godendo della buona compagnia di chi ci siede accanto.
In fondo, è un modo semplice per recuperare la dimensione effettiva del momento e del circostante e di tutelare la qualità della nostra stessa vita.
Tony Ardito