Il presente – scrive Labate – è la conferma di quell’illusione ottica che trasforma Lotito in una specie di uomo-ovunque, e comunque di un tuttofare. Un profilo perfetto, insomma, per la Terza Repubblica, originariamente fondata sulla necessità di affidare la cosa pubblica a uomini del «fare», opposti nella narrazione dominante ai «professoroni» del troppo chiacchierare e ai «politici» tutti stipendi e vitalizio.
«Me la diano a me l’Alitalia e in cinque anni la rimetto in sesto. Dieci come me al governo e si risolvono i problemi», diceva il presidente della Lazio anni fa, nell’epoca in cui Berlusconi aveva appena affidato la compagnia di bandiera al pacchetto di mischia degli allora «capitani coraggiosi». Il coraggio, d’altronde, a Lotito non è mai mancato. «L’avemo ammazzati», gli sentirono dire nel torrido agosto del 2014, dopo che la sua trama aveva portato all’elezione di Carlo Tavecchio alla presidenza della Federcalcio. E solo qualche tornante cieco della storia e della sfortuna avrebbe fatto sì che anni dopo i due, dopo un mancato accordo per la designazione di un presidente-ponte per la Figc, avrebbero finito per prendersi a male parole. «Sei il colera del calcio» (Lotito a Tavecchio). «No, oggi sono il vero vincitore» (Tavecchio a Lotito).
Conseguenze inintenzionali di azioni umane intenzionali, le avrebbe chiamate Friedrich von Hayek, fondatore della scuola austriaca e premio Nobel per l’Economia nel 1974. Nella parabola quotidiana di Lotito sono una costante. Usa quattro cellulari antichi per il timore di essere intercettato ma finisce che lo intercettano sempre. A volte perché urla troppo, come quando definì «’na sceneggiata» la visita riparatrice in Sinagoga dopo lo scandalo della foto di Anna Frank usata da alcuni tifosi della Lazio; altre, come durante alcune telefonate con l’allora vicepresidente della Figc Innocenzo Mazzini (all’epoca di Calciopoli) o con l’ex ministro Cesare Previti (gli chiedeva di far giocare il figlio portiere, finito in panchina), perché l’intercettato era l’altro.
Sotto sotto, però, Lotito sta simpatico a tutti. Altri sarebbero diventati matti per essere stati sfiorati dallo scandalo Palamara, a causa delle incursioni notturne ad alcune cene con l’ex presidente dell’Anm oggi sotto inchiesta. Lui no, due settimane dopo eccolo con l’offerta Alitalia. Non senza prima essersi autoproclamato, in mezzo, artefice della permanenza in B della sua Salernitana, salvata dalle prodezze del portiere Micai. «L’avevano sostituito. Sono entrato nello spogliatoio. E siccome penso di capire qualcosa di medicina, visto che ho fatto medicina pure, ho detto: “Ci hai giramenti di testa? Misuragli la pressione, dagli acqua e zucchero ma tu non esci. Entri in campo pure con le stampelle e ci fai vincere”». È andata così. Che Lotito sia laureato in pedagogia e non in medicina, poi, è quasi un dettaglio.