I tempi sono scanditi dal Trattato e possono essere dilatati in qualche misura. E’ quanto si propone il Governo italiano: dilatare i tempi in modo da superare lo scoglio di luglio e rendere difficili lo scioglimento anticipato delle Camere ed il voto in settembre.
La riserva della Commissione s’indirizza più alla riforma pensionistica (quota 100) che al reddito di cittadinanza. La prima infatti è destinata a durare nel tempo, allargando la forbice fra anticipo del ritiro e invecchiamento della popolazione. Milioni di persone che vivono più a lungo e pesano sul sistema pensionistico senza che un adeguato numero di giovani le sostituisca. A meno di non ricorrere all’immissione massiccia di immigrati, il che confligge con un altro dogma del Governo.
La tattica consiste nell’infilarsi nelle pieghe della partita sulle nomine dei vertici europei. Si conoscono i paletti posti dal Presidente Donald Tusk: varietà di genere, nazione, appartenenza politica. Si conoscono quelli di Emmanuel Macron: due uomini e due donne (una delle quali Angela Merkel, che però è schiva). Sullo sfondo è il rinnovo del vertice della BCE, che in principio dovrebbe seguire un’altra filiera ma che non può non riguardare i Capi di Stato o di Governo dei Ventotto.
Ventotto e non Ventisette: finché il Regno Unito non toglie il disturbo, resta uno stato membro a pieno titolo, anche se su base volontaria si asterrebbe dal contribuire alle decisioni. Non è però detto che Londra rinunci a dire la sua: il Presidente della Commissione sarà il suo interlocutore anche dopo il recesso, meglio averlo amico che nemico.
L’Europa è impegnata nel gioco delle poltrone, l’Italia ne è parte dirimente grazie alla temuta procedura d’infrazione. Che un effetto avrà comunque: il solo annuncio darà il segnale ai mercati che del paese sarebbe bene diffidare. Gli effetti sullo spread, e non solo, sono immaginabili.
Non lontano da noi accadono eventi che dovrebbero inquietarci almeno quanto lo spread, ma che non rientrano nei palinsesti televisivi fra aspiranti cuochi e soubrette in disarmo. Le due petroliere danneggiate nello Stretto di Hormuz trasportavano greggio verso il Giappone.
Chi le ha colpite e perché? Sono domande cruciali alle quali gli Stati Uniti, ora seguiti da Regno Unito e Arabia Saudita, rispondono accusando l’Iran. L’Iran in quanto Governo o in quanto Guardiani della rivoluzione, che hanno una catena di comando loro propria? Gli attentati sono il prodromo di una escalation nel Golfo tale da minacciarne la navigabilità e colpire alla distanza gli interessi europei? Quale allora la risposta dell’Occidente?
La sequenza di domande troverà risposta fra qualche tempo. Ora preoccupa il solo evocare la possibilità di una guerra fra Stati Uniti e Iran. Alcuni segnali ci sono. La denuncia americana dell’accordo del 2015 sul nucleare, le sanzioni sempre più stringenti a carico dell’Iran, il cordone sanitario che Washington intende stringere con l’applicazione extraterritoriale delle sanzioni, l’espansione dell’Iran in Medio Oriente grazie ai gruppi alleati in Siria, Libano, Gaza.
La stretta cui è sottoposto il paese spiegherebbe una risposta veemente: voi strangolate la nostra economia, noi colpiamo le vostre forniture di petrolio.
Cosimo Risi