Poi però l’arrivo del tumore ha ostacolato il progetto di una seconda gravidanza della coppia. In seguito alla morte nel 2019 dell’uomo, la donna ha dovuto lottare contro la burocrazia perché l’embrione non andasse perduto e dopo due mesi di udienze il tribunale di Lecce ha dato l’ok per l’utilizzo. A darne notizia è il Nuovo Quotidiano di Puglia. Si tratta del terzo caso simile registrato in Italia: prima della donna di Lecce, episodi del genere si erano registrati a Palermo nel 1999 e a Bologna nel 2010.
Il Giudice ha accolto il ricorso dell’avvocato – Nonostante il marito avesse firmato i consensi prima di morire, il laboratorio non poteva procedere senza il permesso del giudice. Il nodo da sciogliere è l’articolo 5 della legge sulla procreazione assistita, per cui “possono accedere alle tecniche di procreazione assistita coppie maggiorenni entrambi viventi”.
La donna, con l’avvocato Tania Rizzo, ha deciso di puntare sul diritto della madre alla maternità, sul fatto che un embrione già fecondato non può essere soppresso e sul desiderio di procreazione del defunto ribadita prima di morire. La giudice ha quindi accolto il ricorso presentato dall’avvocato riconoscendo i suddetti principi.
Alla base del provvedimento ci sono quattro punti: il fatto che i genitori fossero in vita al momento della procreazione, “il diritto dell’embrione alla vita”, “l’impossibilità del partner di revocare il proprio consenso” e “il diritto della donna ad ottenere, sempre, il trasferimento degli embrioni crioconservati”.
Fonte FanPage.it