Immaginando Castel Volturno la sua città invisibile – evocando l’omonimo libro di Italo Calvino – almeno per un giorno, Jovanotti manipola l’immaginazione e trasforma il litorale dove morì mama-Africa Miriam Makeba, e dove Edoardo De Angelis e Matteo Garrone hanno raccontato brutalità e violenze, alienazione e peccati nel santuario del buonumore. Sorridono, ridono, festeggiano, si amano e si baciano (quasi) tutti. Felici di essere nel medesimo posto nello stesso momento.
Chi si aspettava un classico concerto di Jovanotti evidentemente non aveva ben compreso il progetto, perché se è vero che il cantante aveva un set con molte sue canzoni è altrettanto vero che alla ne il live si mescolava al dj set: Jovanotti cantava, metteva musica, attraversava epoche, generi, faceva mash up con le proprie canzoni, le manipolava, le trasformava.
Dopo qualche problema iniziale all’impianto, le cose si sono messe in discesa: “I bianchi, i neri, la religione, il pessimismo della ragione, la foto di gruppo, il primo giorno di scuola, libertà di movimento, libertà di parola”, parte “Salvami” e subito dopo “Il più grande spettacolo dopo il Big Bang” c’è spazio per “Ciao Mamma”, “Estate” e “Nuova era”, poi comincia il gioco delle citazioni, “Tutto l’amore che ho” infatti viene mescolato a “Get Lucky” dei Daft Punk e da lì praticamente il delirio
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