Il caso è quello di una ostetrica chiamata in giudizio in Corte d’Appello per una vicenda che la vedeva coinvolta in un presunto caso di malasanità per il quale era stata assolta in primo grado. In Appello l’ostetrica viene condannata. La famiglia chiede a quel punto di preparare il ricorso in Cassazione ma l’avvocatessa non lo consiglia. Si fa versare 1.500 euro per l’onorario e decide di chiudere così il fascicolo.
L’ostetrica e i figli si rivolgono ad un altro professionista. Dopo una serie di ritardi da parte della avvocatessa indagata, nella consegna del fascicolo al collega, dopo diverso tempo convoca i familiari della donna chiedendo loro di firmano una lettera per l’avvenuta consegna dei documenti inerenti la situazione.
Solo dopo, quando la professionista chiede solo 8mila euro, si rendono conto che, di fatto, hanno firmato tutt’altro e che l’atto, in cui l’aggiunta della consegna dei documenti è fatta a penna, riguarda il pagamento dell’onorario della stessa.