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Reddito di Cittadinanza: dal bar al sexy shop. Ecco le spese illegittime

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I sexy shop contribuiscono allo «sviluppo» del Paese: non a caso, nel decreto crescita approvato lo scorso giugno, tra i negozi (nei centri sotto i 20mila abitanti) beneficiari delle «semplificazioni fiscali» figurano anche gli esercizi commerciali specializzati in articoli porno. Lo scrive IlGiornale.it

Ma, sconti statali a parte, si scopre ora che tra i rivenditori di «accessori, riviste e abiti vietati ai minori» c’è chi accetta per i pagamenti di rigeneranti «giochini proibiti» perfino la card del reddito di cittadinanza. Parliamo del famigerato «bancomat di Stato» concesso ai presunti «cittadini bisognosi» (e tali sono stati considerati addirittura vari ex brigatista ndr).

E così può capitare di assistere a casi-limite come quello documentato giorni fa da Striscia la notizia che nel Casertano ha beccato un cliente e un titolare di un sexy shop intenti a «transare» l’acquisto di una «crema rinvigorente» attraverso lo speciale badge anti-miseria. Faranno parte anche i vibratori e i kit sadomaso dei «dieci miliardi di consumo che saranno inseriti nell’economia italiana grazie alla nostra card», come auspicato dai pentastellati?

I quali assicurano: «Questo del sexy shop è solo un caso-limite». «Caso-limite» mica tanto, considerato che giorni fa il quotidiano Il Piccolo di Trieste ha aperto la prima pagina col seguente titolo: «Cercano di pagare con la tessera del reddito di cittadinanza, poi aggrediscono il barista»; un classico, quello di provare a pagare pranzi e cene, col tesserino di pseudo-povertà imposto griffato Di Maio.

Ma possono bastare due «casi-limite» per bocciare il welfare di nuova generazione tanto sponsorizzato dal governo Conte (il primo) e ora strenuamente ribadito dal governo Conte (il secondo) su sollecitazione del M5s?

Se i «casi-limiti» fossero effettivamente «due» la risposta sarebbe «no», ma visto che segnalazioni di analoghi «casi-limite» stanno giungendo da più parti della Penisola allora le cose cambiano. C’è infatti chi con la scheda integratrice di reddito, infischiandosene delle «limitazioni previste dalla legge», seguita tranquillamente a comprare le più stravaganti tipologie di articoli commerciali.

Per un «legittimo» titolare (senza scrupoli) della «card gialla», opera su piazza almeno un corrispondente negoziante (senza scrupoli pure lui) che quella «card galla» l’accetta per farsi pagare abiti, scarpe, cellulari, televisori, biciclette, ecc.

Per questi tanti «casi-limite» (dati ufficiali non ce ne sono, ma se ne stimano – per difetto – un centinaio) si rischia – al «limite» – solo una figuraccia in tv o su qualche giornale locale. Le sanzioni previste sarebbero teoricamente severe, ma solo sulla carta: al momento nessuno è stato denunciato (o addirittura condannato) per «uso improprio della card».

Ma i trasgressori sono tutti «brutti, sporchi e cattivi»? Macché. Lo stesso meccanismo «mendace» che anima l’uso della «card gialla» e, in molti casi, il medesimo che caratterizza il «bonus docenti»: cioè quei soldi caricati dal ministero dell’Istruzione su una tessera consegnata agli insegnanti; danaro che dovrebbe servire all’«aggiornamento professionale», ma che da alcuni docenti (che forse si ritengono già sufficientemente «aggiornati») vengono usati per l’acquisto di merce che nulla ha a che fare con la scuola. Anche qui, pochi rischi. Anzi, nessuno. Se non quello di essere segnati sulla lavagna nell’elenco dei «cattivi».

Fonte IlGiornale.it

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