Altri avrebbero il compito di analizzare quanto accade con il discernimento della ragione di stato.
La Turchia è membro NATO, ha il secondo esercito più agguerrito e la palese disponibilità a schierarlo sul campo, oltre che negli affari domestici dove i generali si sono segnalati per i colpi di stato riusciti (in passato) e falliti (2016).
In origine aveva la missione di proteggere il fianco sud – est dell’Alleanza avendo alle porte paesi difficili se non ostili all’Occidente. Si pensi a Siria, Iraq, Unione Sovietica. Col crollo dell’URSS venne meno il bersaglio principale, ne emersero altri, il caso dell’Iraq è significativo.
Dalla Seconda Guerra del Golfo e dopo lo spodestamento di Saddam Hussein, il paese non conosce pace né ritrova quell’unità che il regime autoritario saldava in qualche modo. Al nord opera il Kurdistan iracheno, altre zone vedono la difficile convivenza fra il maggioritario gruppo sciita (vicino all’Iran), ed il gruppo sunnita, per non parlare dei cristiani dei vari culti che sono minoritari ovunque.
Sulle scorie del vecchio regime si forma il nucleo primigenio del DAESH – ISIS. Verso il Califfato la Turchia è sospettata di un atteggiamento talmente distaccato da apparire benevolo. Contro il Califfato l’Occidente chiama a raccolta i Curdi, specie quelli di Siria, e cioè di un paese dilaniato dalla guerra civile.
Al pari dell’iracheno, il processo siriano avrebbe dovuto portare alla sostituzione del regime di Bashar Al-Assad con un regime “democratico”, con la pregnanza che l’aggettivo ha in quella zona del mondo. Il regime change era preconizzato dall’Occidente nel quadro salvifico delle Primavere arabe che, a parte la piccola Tunisia, non hanno prodotto i risultati sperati.
La Turchia è paese – cerniera a difesa dei nostri interessi. Il suo coinvolgimento nelle nostre vicende è massimo da quando l’Europa, Germania in testa, si sentì minacciata dai milioni di profughi che scappavano dalla Siria.
La Cancelliera dapprima aprì le porte della Repubblica Federale per poi cambiare atteggiamento alle ripetute sconfitte elettorali. Ripiegò sulla soluzione meno umanitaria per i profughi e meno dolorosa per gli Europei: chiedere a Ankara di bloccare il flusso sul posto prima che imboccasse la rotta balcanica verso l’Europa occidentale. L’intesa UE – Turchia del 2016 fu ritenuta il toccasana a fronte di una situazione che stava divenendo ingestibile.
L’Italia non fu da meno, i risultati elettorali punirono la politica delle porte aperte a favore della maggiore cautela nell’accogliere chiunque. Si può argomentare che i profughi “politici” sono una categoria ai sensi del diritto internazionale mentre i profughi “economici e ambientali” sono altro, ma è una distinzione da fini giuristi e non da elettori che reagiscono emotivamente a campagne tambureggianti.
La Turchia è il primo paese terzo ad avere presentato la domanda di adesione all’Unione: nel 1987. Soltanto nei primi Duemila, la domanda fu processata dalla Commissione per avviare i negoziati di adesione.
Le trattative si incepparono presto, a fronte delle riserve degli stati membri nonché per certi comportamenti turchi non in linea con i criteri di Copenaghen (quelli che regolano le adesioni). Di fatto sono sospese, un atto di chiarezza vorrebbe che si dichiarassero perente una volta per tutte.
L’eterno candidato all’Unione resta membro NATO, anche se via via più critico. La decisione di acquistare i sistemi russi di difesa non è stata ben accolta al Quartiere Generale di Bruxelles. Mosca entra così nel circuito NATO per via contrattuale.
In Siria i blindati battenti bandiera russa che prendono possesso delle postazioni già americane completano la scena. Siamo prossimi ad un cambiamento strategico? Segue.
Cosimo Risi
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