L’anonimo pone, però, un problema che impone una riflessione seria: quella della disuguaglianza generazionale. Tra le disuguaglianze che emergono nel contesto sociale, possiamo individuare quelle all’interno del sistema “Paese” e quelle tra le diverse generazioni.
Per quanto riguarda la prima, dai dati che emergono dal World Inequality Database, si rileva che l’Italia, a differenza degli altri Paesi Europei e degli Stati Uniti d’America, presenta la misura di disuguaglianza meno accentuata, anche se l’impatto di quest’ultima è più avvertito a causa dell’immobilità sociale, a cui si aggiunge la progressiva scomparsa della classe media, sotto il peso, ormai insopportabile ed ingiustificabile, del crescente carico fiscale e tributario.
Per quanto riguarda, invece, la disuguaglianza tra generazioni, deve evidenziarsi come i sistemi pensionistici sbilanciati ridistribuiscono il reddito dei giovani che lavorano in favore degli anziani, i quali ricevono una pensione non corrispondente ai loro contributi, ma calcolata (in genere) su base retributiva.
E’ pur vero che una parte di questo surplus pensionistico è poi ridistribuito nella famiglia tra i giovani, ma ciò non elimina l’evidente disparità di trattamento, ed interferisce con i fenomeni connessi alla mobilità sociale e geografica.
La scorsa settimana, Alesina e Giavazzi sul “Corriere della Sera” hanno proposto di tassare, con opportuni accorgimenti legati al reddito e con aliquote progressive, eredità e donazioni infrafamiliari inter vivos. La proposta è utile, ma va accompagnata da una rigida normativa che utilizzi il gettito prodotto solo per favorire le pari opportunità generazionali, e ciò mi pare un tanto difficile in uno Stato che gestisce le risorse secondo le prospettive del consenso di brevissimo periodo (basti pensare al disastro del reddito di cittadinanza).
Inoltre, per superare la disuguaglianza generazionale, si dovrebbe legare necessariamente l’età pensionabile alle aspettative di vita, rafforzando le riforme previdenziali introdotte nel 2012.
L’esatto contrario di ciò che ha fatto il governo giallo-verde con l’introduzione di “quota 100”, e come continua a fare, sulla spinta degli inconsapevoli pentastellati, l’attuale governo. Si tratta di una tematica complessa ed importante, che non può essere affrontata con le “frasi fatte” del populismo oggi imperante.
Giuseppe Fauceglia
“!Inoltre, per superare la disuguaglianza generazionale, si dovrebbe legare necessariamente l’età pensionabile alle aspettative di vita, rafforzando le riforme previdenziali introdotte nel 2012.”
professore Lei va in corto circuito.
questa è una palese contraddizione :
quelle riforme amplificano la diseguaglianza generazionale.
faccia chiarezza nel suo pensiero , prima di scrivere.
faccio un esempio: un giovane di 40 anni che lavora da 15 andrà in pensione a 75 anni a causa di dette riforme.
non legga solo Alesina e Giavazzi che sono neoliberisti conclamati.
l’economia è una scienza sociale per cui si puo’ interpretare da varie angolazioni e dovrebbe essere lo Stato a decidere quale.
ma lo Stato ha abdicato alla sua funzione a causa del “vincolo estrerno”
saluti Franco.
ps.
non ho trovato l’articolo a cui fà riferimento ma capisco il sig.Mah in quanto procede a ritmo forsennato il tentativo di catalogare e reprimere il pensiero critico.
Giusta osservazione professore … ma se si continua a fare programmazione politica su base elettorale e trimestrale non si arriva a nessuna soluzione concreta … basti pensare che per i giovani avvocati (come lei ben sa) si è passati da un sistema contributivo ad un sistema retributivo in corso d’opera… anche questa è ingiustizia sociale…
Pardon … si è passati da sistema retributivo a contributivo … per la precisione … saluti al professore
crescente carico fiscale e sociale, ma se nel nostro paese tra fisco e contributi c’e’ un evasione di circa 200 miliardi, ma che riforma vogliamo fare se tutti pagano le tasse e se a tutti pagano i contributi pagheremo meno tasse ed andremo in pensione prima LOGICO
“La progressiva scomparsa della classe media, sotto il peso, ormai insopportabile ed ingiustificabile, del crescente carico fiscale e tributario”.
La classe media non è scomparsa per il carico fiscale, ma per ben altre ragioni: ci troviamo in un paese che non cresce, dove il ricchissimo vive agganciato alle banche, investe -anche male- soldi delle banche e dello stato, e fa di tutto per non pagare le tasse. Se può, delocalizza pure. Le aziende del ricchissimo non fanno alcuna innovazione: incamerano soldi, ma restano sempre allo stesso punto e non sono più competitive. Il lavoro dipendente, a causa di tutto ciò, si è precarizzato. Per far emergere situazioni di nero, si è provato a diversificare i tipi di contratti, a creare “prestiti d’onore per partite IVA”, ma in questo modo una generazione è rimasta più protetta della successiva e abbiamo attualmente persone di 40-50 anni senza un futuro predicibile, che s’arrangiano, anche se molto titolate. Stendiamo un velo pietoso sul Sud e sullo strabismo di stato, denunciato fin dai tempi di Nitti, che ha permesso che il paese si sviluppasse solo in un senso (tanto i fessi che si facevano la classica mappatella si trovavano sempre).
Direi che il carico fiscale c’entra poco, c’entrano molto di più i furbissimi che fanno sparire miliardi di Euro l’anno, facendo lievitare costi di sanità, precarietà, criminalità, lavoro nero, ecc.
P.S.: ma se uno inventa un nome e un cognome, non è lo stesso anonimo?