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Ignoranza e incoscienza: quanti danni per il sistema Paese

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Siamo al corto circuito politico. In ballo c’è molto di più di una fabbrica, c’è l’assenza di un’idea di sviluppo per un Mezzogiorno ormai desertificato dall’emigrazione di giovani con elevato livello di specializzazione (come attestato dall’annuale rapporto Svimez),  e privato ormai di una vera e propria politica industriale.

Un cocktail letale, figlio di egoismi, tattiche e pretattiche di brevissimo periodo, con scelte importanti  affidate a politici ricattati dal veleno del populismo, che loro stessi hanno iniettato nelle vene del Paese. E’ così che il caso ILVA non rappresenta un’occasione per riflettere seriamente ed affrontare le questioni dello sviluppo industriale sostenibile e del lavoro, ma diventa un baluardo per difendere un’idea di decrescita felice, affidata a Taranto alla coltivazione delle cozze pelose, come propugnato dagli esponenti locali di un partito di governo.

Era stato chiaro già da mesi: Arcelor Mittal sarebbe andata via dall’ILVA se non fossero state confermate le garanzie concesse nel contratto di affitto di azienda concluso con l’Amministrazione Straordinaria e già previste in una legge per i Commissari straordinari, finalizzate non già ad escludere tout court la responsabilità penale per i vertici dell’azienda franco-indiana, bensì a limitarla dal punto di vista temporale sino al conseguimento della bonifica ambientale dei siti (in sostanza, non potevano rispondere dell’effetto dei reati commessi dallo Stato e dai precedenti proprietari della fabbrica).

La problematica è complessa e mi pare emerga con tutta evidenza l’insufficienza valutativa e cognitiva dell’attuale Ministro per lo Sviluppo Economico (come già era evidente quella del precedente), posto che bisogna prendere consapevolezza:

a)
che un piano industriale rilevante per l’impegno economico (come quello che prevede per l’ILVA investimenti per oltre 4 miliardi di Euro) non può essere subordinato ad incertezze normative (il repentino cambio di leggi cui abbiamo assistito in tema di responsabilità penale) o giuridiche (le improvvide iniziative dei giudici di Taranto, i quali ritengono che  bonifiche ambientali così rilevanti possano compiersi in pochi mesi);

b) che un’impresa non può impegnarsi in rilevanti investimenti quando resta assolutamente incerto l’utilizzo del compendio aziendale (se si chiudono alcuni altoforni  è naturale che la produzione effettiva dell’acciaio non è più quella programmata);

c) che qualsiasi scelta imprenditoriale è sempre connessa a specifiche leve di sviluppo industriale, che si attuano a mezzo di sinergie  tra scelte politico-programmatiche e programmazioni aziendali. Proprio quest’ultimo elemento è mancato nella gestione del caso ILVA, che coinvolge un tessuto produttivo importantissimo per lo sviluppo del Paese (come quello della produzione dell’acciaio) e il reticolo di piccole e medie imprese operanti nel settore e già colpite dagli effetti dell’ Amministrazione Straordinaria, che hanno comportato il mancato pagamento di rilevanti crediti  (presso il Tribunale di Taranto pendono procedure di fallimento e di concordato preventivo relative proprie ad imprese che avevano rapporti contrattuali e vantavano crediti con l’ILVA).

Del resto, i problemi ambientali possono essere superati solo se si investe in nuove tecnologie idonee ad abbattere le emissioni e l’inquinamento, e tanto può essere realizzato solo da grandi imprese. Invece, la politica non comprende che oggi l’alternativa è tra salvare l’ILVA ed il baratro, ma ciò implica preparazione e consapevolezza, merce rara tra gli improvvisati.

P.S. Vorrei dare un riscontro al lettore ”Franco”, altro eroe anonimo della tastiera delle sciocchezze para-populistiche, che mi addebita l’ignoranza della legislazione previdenziale degli anni 2001-2012, da me ritenuta un tassello per superare le diseguaglianze generazionali. Lo invito, pertanto, a studiare (se ne resta capace) l’art. 24 della L. 22 dicembre 2011, n. 214, che fissa il tetto massimo per la vita lavorativa a settant’anni (così contraddicendo l’esempio, evidentemente frutto dalla diffusa ignoranza che si diffonde nel web, fatto dall’inconsapevole lettore).

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