Così, la scorsa settimana abbiamo elaborato una ‘scaletta’ per calcolare i possibili flussi di visitatori richiamati da Luci d’Artista. E, mettendo in fila pensieri e parametri, per l’edizione del 2018 siamo arrivati al totale di 670.000 persone, di cui 50.000 ‘certi’ (fonte: EPT), come ‘turisti veri’, e 620.000 ‘incerti’, come ‘escursionisti’. Un poco di più o un poco di meno.
Forse non siamo andati lontani dal vero. Perché, per le due settimane iniziali, avevamo ipotizzato 400+400 autobus e nell’ultimo fine settimana ne sono arrivati 311, come dichiarato da Salerno Mobilità che, però, non ha fornito i dati precedenti. Pur raddoppiandoli, sarebbero circa 600. Siamo stati più ottimisti. Seguiremo per la terza settimana, della Immacolata, per la quale ne abbiamo previsti 900.
Quella ‘scaletta’ era priva di contenuti economici, non di immediato interesse. Però, considerato che il costo per le installazioni e servizi accessori può mediamente stimarsi tra i 3 e i 3,5milioni/anno (fonti: la Città+altre), non possiamo nascondere che ci appare difficile parlare di ‘congruità’ della spesa nel lungo periodo, se i numeri calcolati fossero confermati.
Per spiegarci, andiamo 900 Km più a nord. I Mercatini di Bolzano, incentrati sulla storia e sulle tradizioni locali, nel periodo 28/11-06/01 attirano oltre 500.000 visitatori, di cui l’80% da fuori Provincia con pernottamenti medi di 2,8gg. per il 60% (fonte: sito ufficiale mercatini 2018). In pratica, a Bolzano, arrivano almeno 250.000 persone da molto lontano. Da noi circa 50.000. Eppure, lì ci sono solo folklore, arte e gusto.
Ci sono pure le luci, ma sembra che la spesa non superi i 160.000 euro (salvo errore). Cioè, costi enormemente inferiori ai nostri con effetti molto simili, in termini assoluti, e anche migliori, in termini relativi.
In realtà, dopo i primi anni esaltanti, sembra che Luci d’Artista abbia perso ‘slancio’. Gli economisti rassicurano dicendo che, dopo 13 anni, una certa ‘stanchezza’ è naturale per un prodotto che ha raggiunto la ‘maturità’ del suo ciclo di vita.
Ma dicono pure che, in assenza di correttivi, si avvia una fase di declino con una velocità tanto più elevata quanto maggiore è la concorrenza di eventi più ‘nuovi’ e più ‘freschi’. E sappiamo tutti che, in Italia, Luci più o meno d’Artista sono dappertutto. Anche vicinissimo.
Per questo, premesso che la manifestazione resta una buona idea per dare visibilità e vitalità alla Città, la scorsa settimana abbiamo ritenuto di proporne il possibile aggiornamento per attribuirle una funzione del tutto diversa: da mostra di luci attraverso la Città a mostra della Città attraverso le Luci con la finalità di esaltarne l’anima vera e i peculiari caratteri identitari. Bolzano, lo ha fatto da sempre.
Perché, se vogliamo proprio parlare chiaro, non si può disconoscere che la chilometrica installazione non ‘propone’ nulla della Città, è di scarsa efficacia e, ancora, genera un effetto ‘divisivo’ tra le aree ‘privilegiate’ e quelle, anche a pochi metri, nelle quali impera il buio e l’abbandono. Un esempio? Provate a camminare, di sera, per via S. Benedetto, via Velia-via Fieravecchia, con gli Archi, via Arce, piazza PortaRotese. E non parliamo della zona orientale.
Quest’anno, poi, è stata ‘ri-ripropota’ una buona parte dei vecchi quadri luminosi e, per quanto si è sentito, non ci saranno le bancarelle di Natale sulle quale, comunque, in passato erano offerti gli arancini e i cannoli siciliani, i torroni piemontesi, i liquori calabresi, i prosciutti e i formaggi. Salumerie, non mercatini.
Alcuni cortesi lettori ci hanno chiesto di chiarire il nostro pensiero e una gentile lettrice ha osservato che parliamo senza dire. Cioè, non facciamo proposte concrete. Ci permettiamo dissentire, sia ricordando il contenuto di ‘Ti piace il Presepe?’ pubblicato nel Novembre 2017, sia appellandoci alle oltre 80 ‘idee per la Città’ che abbiamo esposto negli ultimi due anni. Basta accedere alla pagina Fb, o al sito internet.
In ogni caso, poiché il rispetto delle opinioni fa parte del nostro dna, non vogliamo lasciare alcun dubbio. E, quindi, abbiamo ritenuto doveroso formulare una risposta. Con una premessa.
La gentile lettrice ha affermato che a Salerno “…vengono perché è bella e a misura d’uomo”. I dati degli arrivi non sembrano concordare: 190.496 ‘turisti veri’, nel 2018, non sono tanti. E, poi, a fronte di 1.329.330 posti letto disponibili in quell’anno (fonte: Istat turismo), ci sono stati solo 470.303 pernottamenti (fonte: EPT). Il 35%. Non si può gioire.
All’opposto, i visitatori via mare verso le Costiere, dal Masuccio e dal Manfredi, sono stati 582.452 corrispondenti, con i ritorni, ad almeno 900.000 passaggi. Sono visitatori per i quali Salerno è stata solo la Città più comoda per prendere il treno o l’auto (fonte: Autorità Portuale 2018).
Ci sarebbe da riflettere, quindi. E noi lo facciamo. Perché amiamo questa Città e, per questo, non ci nascondiamo la verità. Chi lo fa, non l’ama. La tradisce. E non aiuta a migliorarla.
Sulle Luci, abbiamo già detto che l’impostazione ‘senza anima’ dovrebbe essere sostituita da un ‘progetto di ospitalità’ che sia espressione ‘distintiva’ della Città e ne esalti le qualità culturale e sociale. Cosa significa? Lo spieghiamo mettendo in fila i pensieri, come ci insegnava la maestra.
Se le Luci servono a stimolare l’economia, allora debbono accrescere la quota di arrivi di ‘turisti veri’, quelli che chiedono servizi a pagamento e apportano denaro. Per questo, non è necessario allungare i tempi. Basta partire ai primi di Dicembre e finire subito dopo l’Epifania.
E non sono necessari, poi, costosi chilometri di inutili festoni. Deve essere illuminata la nostra storia, a cominciare dal Castello, dagli Archi medioevali (oggi negletti) e dal forte la Carnale (era una torre cavallaria, perché non la chiamiamo la ‘cavallerizza?’), con contorni o fasci di luci. Realizziamo un albero luminoso o una stella lungo il ‘Bonadies’ o sul ‘Bellaria’, come a Gubbio, e ‘accendiamo’ l’Olivieri, fino a Vietri, perché possa divenire un percorso turistico di grande forza emotiva.
In Centro, mettiamo ‘in luce’ gli spiazzi d’arte, le chiese, i monumenti, le testimonianze storiche e creiamo l’area protetta del ‘Quadrilatero del Duomo’. Realizziamo, nella parte antica, una ‘via lucis’ adornando scalette, viuzze e slarghi partendo da piazza Conforti per proseguire, lungo via Tasso, fino a via de Renzi. Apriamo le botteghe e insediamo, anche temporaneamente, le attività del ‘nostro’ folklore, delle ‘nostre’ produzioni artistiche della ceramica, del legno, del ferro, del vetro. E le erbe officinali?
Realizziamo un circuito dei Presepi Monumentali, non per richiamo religioso ma perché vera attrazione per chi va alla ricerca dell’arte e della tradizione natalizia.
Nei quartieri, organizziamo percorsi di luce che siano da guida verso un luogo o una piazza da addobbare a tema e dove collocare mercatini di Natale. Tutti diversi, per alimentare lo ‘scambio’ di visite. Coinvolgiamo i residenti, perché siano partecipi e responsabili, con un concorso per il rione con la migliore installazione natalizia, per quello più pulito o con la strada più fiorita. Rendiamo scintillanti le terrazze collinari, perché anche essi hanno eguale diritto alla festa.
Posizioniamo le “casette” a gruppi, nelle piazze e lungo i “percorsi delle luci”, per proporre i ‘veri mercatini del Natale’ dove trovare addobbi, luci, pastori, festoni, dolciumi, artigianato, articoli da regalo.
Non abbiamo altro spazio, ma ci sarebbe ancora di dire. A cominciare dalle spiagge per arrivare alla mobilità, ai parcheggi, ai divieti, ai permessi e alle iniziative collaterali, culturali e sportive.
Così, ci fermiamo qui, sperando di aver almeno dimostrato alla gentile lettrice, e altri amici, che le nostre parole erano sostenute da idee. Forse semplici o ingenue ma, riteniamo, più vicine al vero spirito del Natale che, al di là del richiamo religioso, alimenta un bisogno di gioia, di serenità, di semplicità.
Certo, solo alcune sono immediatamente realizzabili. Per altre, è evidente che la Città non è pronta ed è necessario prima riqualificare e recuperare le tante ‘ricchezze’ che abbiamo abbandonato. E, soprattutto, ricostruire nella Comunità il senso dell’appartenenza, della partecipazione, della condivisione, del rispetto, della responsabilità.
In tal senso, siamo convinti che il coinvolgimento diretto dei cittadini in un progetto del tutto nuovo per le Luci d’Artista possa essere l’occasione per dare vita a una Comunità nuova, diversa, orgogliosa delle sue identità storica, culturale e ambientale, e pronta a offrire le sue specificità con fierezza e dignità. Non solo durante il periodo delle Luci, ma per tutto l’anno.
E, allora, facciamo una ‘scaletta’. Quella che abbia per obiettivo una Città della cultura, dell’arte, dell’amore. Non un ‘parco giochi’.
Questa Città ha bisogno di amore.
e.mail: associazione.iosalerno@gmail.com
pagina fb: Associazione io Salerno
P.S.: con questa riflessione, sospendiamo l’appuntamento settimanale. Riprenderemo dopo l’Epifania.
Auguri, a tutti. Il Natale, per chi crede, e la festa del Nuovo Sole, per chi non crede, possano costituire l’inizio di una vita nuova di pace, salute e benessere.
Lo auguriamo anche alla Città. Ovviamente.
Arrivederci
Quella sullo scambio dei numeri telefonici voleva essere una semplice battuta. Quanto alle convinzioni, a me di fatto non interessano per nulla: io dico la mia, tu dici la tua, alla fine forse ci si arricchisce (cioè, che tu rimanga convinto della tua idea a me non interessa affatto, non scrivo per convincerti di nulla) 🙂
Non mi è chiaro il senso della tua difesa dell’asino in quanto animale: è chiaro che io mi riferissi a quelli che, a torto o a ragione, vengono considerati alcuni tratti caratteristici della bestia in questione (es. l’ottusità). Se, invece, volevi dire che anche il razzista va capito perché, come l’asino, potrebbe avere delle qualità, ti dico che io non faccio né lo psicologo, né il sociologo, né il parroco, né l’antropologo: insomma, capire il razzista nel profondo non è compito mio. 🙂
Io non ho parlato esattamente di “trasferimento delle ceramiche vietresi”: io ho ventilato la possibilità che si possa estendere l’area d’influenza (tradizione, laboratori e vendita diretta) della ceramica vietrese ad una parte del centro storico di Salerno. E non parlavo solo di ceramica vietrese, ma di tutte quelle che sono le tradizioni provinciali che possano in qualche modo creare commercio legato alla tradizione nel centro storico. Sovente, infatti, i centri storici si sono prestati e rivelati adatti ad ospitare botteghe artigiane, molto più che le periferie. Ora, dicevo, non disponendo Salerno di tradizioni riconoscibili come salernitane-doc, potrebbe importarle dai comuni vicini. Per quale motivo un turismo basato sulla tradizione dovrebbe essere deludente per la città? A cosa dovrebbe aspirare Salerno, secondo te? No, perché fino ad ora leggo che non sei d’accordo con me (niente di male), ma non capisco quale sia CONCRETAMENTE la tua idea a riguardo del turismo nel centro storico, quali siano le attività che andrebbero insediate, eccetera.
Certo che vanno valorizzati alcuni luoghi della città, ma si dà il caso che il 90% di ciò che è valorizzabile a Salerno si trovi nel Centro Storico o negli immediati paraggi (a meno che tu non ritenga plausibile che il turista venga perché attratto dal Q2).
Non parlavo di nessun “idillio” e non si tratta di semplice “sciamare”: si tratta del fatto che al flusso turistico deve corrispondere -concretamente e non idealmente- quanto più possibile la tranquillità del residente (che non può diventare una vittima del turismo). Ti faccio presente che nella città di Salerno non si riesce a contenere il rumore nemmeno in situazioni non-straordinarie come il comune sabato sera. Diversi dei luoghi che tu elenchi non sono paragonabili a Salerno: sono fisicamente molto più grandi del centro di Salerno, magari hanno più parcheggi, sono meglio organizzati, hanno eventi che durano una frazione del tempo delle luci, non hanno stradine a misura di longobardo con il cavallo (o l’asino, se preferisci), non hanno due strade più grandi, una che sale e una che scende, perché il traffico possa defluire, ecc. Sono tutte situazioni ben diverse dalla nostra.
Concordo, infine, sulla manutenzione e sulla pulizia, anche se c’è da dire che in Campania posti che hanno uno o più attrattori ma una manutenzione mediocre fanno poi lo stesso milioni di turisti (il che è un guaio perché questo non aiuta a migliorare questi posti)
È chiaro che anche la mia esortazione a “Io Salerno” e a “Salerno Notizie” aveva il crisma di una battuta. Se tuttavia pensassero realmente di effettuare un intervento, si avrebbe un importante tassello per far progredire l’impresa.
Mi sembra che l’affermazione riportata nel primo paragrafo sia il preludio per ribadire un senso di superiorità, associata a distacco e noncuranza. Questo intendo quando vedo dichiarato il mancato interesse per quanto dice l’altro. Cioè l’altro non scalfisce le mie idee né apporta alcunché alle mie convinzioni. Peccato che persino Einstein, negli incontri coi suoi studenti, soleva dire che le loro domande/opinioni erano un arricchimento anche per le sue conoscenze.
Al razzista può essere indubbiamente affibbiato qualsiasi epiteto. Si entra però nel campo della ideologia, e questa non entra nei confini del tema che stiamo trattando
Sembra che delle ceramiche vietresi non possa farsi a meno. Vada dunque per il loro insediamento nel centro storico, unitamente ad altri prodotti di tradizioni non proprio della città ma della provincia. Ma in quale centro storico?? Via Mercanti, Via Masuccio Salernitano, Largo Campo, Via di Porta Catena, Via Botteghelle, Largo Conforti, Via Tasso, Via Trotula de Ruggiero?? Inoltre avrebbero un carattere di continuità o verrebbero allestite solo in occasioni di determinate manifestazioni e quali?? E dal punto di vista logistico, ci sarebbero delle bancarelle, oppure dei gazebo, o negozi veri e propri??
Mi sono venuti in mente questi interrogativi, nel momento in cui pensavo che comunque il risultato sarebbe un grosso mercatino o meglio un “esteso mercatone”, capace sì di attirare anche tanti visitatori, ma certamente non di dare alla città l’impronta di un centro turistico, in grado di offrire, oltre che ceramiche riproducenti oggetti vari (pure gli asinelli di varie dimensioni!!), anche diverse attrazioni di cui la città dispone. Trascurare tali alternative significherebbe condannare all’oblio le testimonianze del passato, molte delle quali sono già ora oppresse da incuria, mancata manutenzione e abbandono.
Sarebbe strano e singolare se Salerno non soffrisse di tutti gli inconvenienti apportati dalla crescita esponenziale dei veicoli grandi e piccoli che circolano nelle città, sia che ci siano larghe arterie come a Roma, sia che la circolazione avvenga su strade di standard normale come nelle piccole città.
Ovvio che i problemi debbano esse risolti dai pubblici amministratori, compatibilmente con le difficoltà che sono ovunque di non semplice soluzione.
Sull’ultimo paragrafo una breve considerazione, dato che ci vedo i segni di una assuefazione e di una rassegnazione. Cioè, nonostante la mancata manutenzione e la scarsa pulizia, in molti luoghi continua l’arrivo di milioni di turisti. Allora sembrerebbe che basti avere certi attrattori e tutto va a posto.
Io dico di no a una simile concezione, perché non basta cullarsi sugli allori.
Lo standard è quello descritto nel precedente commento quando ho citato Madrid e come la capitale spagnola viene tenuta in ordine.
Premetto che non c’è da parte mia alcun “distacco”, “noncuranza” o “superiorità”: la mia intenzione era, anzi, esattamente opposta (intendevo mettere i nostri discorsi sullo stesso piano). Dalla tua risposta deduco che probabilmente non sono riuscito a spiegarmi adeguatamente.
Nel ribadire che non è che “non possa farsi a meno delle ceramiche vietresi” e che il discorso che facevo era un po’ più ampio di come lo riassumi, non ho mai parlato di nessun gazebo o bancarella. Come già detto in precedenza, mi riferivo ad attività il più possibile stabili, impiantante nei medesimi spazi che occupano altri tipi di attività commerciali. Io non conosco la tua età, ma a mia memoria nel centro storico ci sono sempre stati molti più negozi che “bancarelle”.
Anche nella seconda parte del tuo messaggio, noto che il mio messaggio non è arrivato nella sua completezza. La tua sintesi del mio messaggio suona più o meno come: “tu vuoi trasformare il centro storico in un mercato di asinelli in ceramica di varie dimensioni a scapito di altre attrazioni”. Intanto, io ho parlato di tradizione in generale, non solo vietrese, e comunque anche eno-gastronomica, ad esempio. Come seconda cosa, vorrei capire cosa intendi per “altre attrazioni” perché se parli di monumenti, palazzi, musei, ecc., il problema non si pone minimamente: le cose possono assolutamente convivere. A questo vorrei aggiungere che il centro storico salernitano si è da sempre prestato ad essere luogo di commercio: Salerno è una città in cui storicamente quella del “mercante” è stata una figura di primissimo piano.
Non capisco perché cultura e commercio non possano coesistere e perché cultura e commercio non possano fare assieme turismo come in tutti i centri storici d’Italia. Forse tu credi che il mio umile disegno sia volto ad introdurre negozi di souvenir pacchiani, ma è l’esatto contrario. Per dire: tu ti fermi all’asinello, ma dovresti aver notato cosa è stato realizzato nella villa comunale o all’altezza del nuovo ascensore di Vietri. La ceramica è anche evoluzione (ricerca e sviluppo) del prodotto, non è “solo” la sua tradizione, è anche cosa puoi raggiungere a partire dallo stesso materiale. Adesso non mi rispondere che quindi voglio trasformare il centro storico di Salerno inserendo a tappeto su tutti i muri maioliche come quelle della villa comunale di Vietri (stiamo al fatto che io ho solo parlato di punti vendita, laboratorio, ricerca e sviluppo).
Il centro storico di Salerno è stato “progettato” per contenere un numero di persone assai limitato: nel 1861, al primo censimento, Salerno faceva 20000 abitanti (come Avellino e Benevento, la nostra “sorella storica”. Caserta ne faceva credo 30000, Napoli 500000). Agli inizi del Novecento, probabilmente proprio perché la situazione demografica e abitativa era diventata insostenibile, si cominciò a costruire una “nuova città” al di fuori delle mura del centro storico. Ora, tu capisci che un centro che poteva accogliere 20000 persone (25000 magari di giorno con le attività), è impensabile che subisca un assalto delle dimensioni di quello che avviene nei giorni delle luci? Tu te la immagini Amalfi con 1 milione di persone per le strade? Non tutti i luoghi si prestano ad accogliere un “turismo” di questo genere e non credo che le amministrazioni non lo abbiano compreso (e vale anche per “movida” e ciò che essa comporta in termini di “effetti collaterali”, per così dire).
Nessuna assuefazione: constatavo solo che purtroppo alle volte l’attrattore (siamo simpaticamente “assediati” da un certo numero di patrimoni UNESCO) è talmente “attraente” (scusa il bisticcio) che il turista chiude un occhio. Questo è un grosso limite che impedisce ad alcuni luoghi di migliorarsi come potrebbero.
Vedo che quanto a dialettica nel difendere i tuoi punti di vista, l’abilità non ti difetta. Il che non mi dispiace affatto perché è sempre ben accetto l’interlocutore che dimostra di voler interfacciarsi portando avanti ragionamenti aventi spessore e consistenza, piuttosto che colui il quale si fa forte di una presunta maggiore capacità argomentativa e conclude mettendoti a perdere. È chiaro che tale connotazione negativa non si applica al tuo caso e la situazione da me delineata, e da te giustamente rilevata, era solo fatta come una astrazione.
Non vorrei aver dato l’impressione di bollare le ceramiche vietresi come un prodotto artigianale buono per coprire pavimenti oppure per sfornare pupazzi e pupazzetti. So benissimo a quale alto livello di perfezione in quei laboratori siano in grado di portare la loro produzione che, giustamente, è rinomata in tutto il mondo. Già di per sé richiama un gran numero di visitatori e compratori. Essi inevitabilmente sanno che Vietri sul Mare, in provincia di Salerno, non dista molto dal capoluogo e quindi sono invogliati anche a visitare la città (nonostante per far ciò siano costretti, se in auto, a fare un giro tortuoso a causa di un divieto di transito che si incontra lungo il percorso). Ben venga allora l’insediamento in pianta stabile di negozi specializzati per la vendita di tali prodotti. Il centro storico, in particolare Via Mercanti, era rinomato proprio perché il meglio delle attività commerciali era concentrato in quell’area. Orafi, pelletterie, tessuti e abbigliamento, tutti esercizi di lunga tradizione, rendevano piacevole andarci, anche solo per sostare o per passeggiare. Purtroppo ora la situazione ha subito una inversione in peggio. Sarebbe una piacevole sorpresa se con l’avvento di negozi “vietresi” di alta qualità, almeno Via Mercanti potesse ritornare come un tempo.
È ovvio che una simile soluzione non rappresenta l’istituzione di un tipico mercato dove trovare ogni genere di oggettistica tradizionale e di artigianato locale o forme di attrazioni anche di altro genere ad esempio enogastronomico. Ma anche ammesso che questo si realizzi, si può essere sicuri che … la cura risulti efficace?
Ho già fatto l’esempio del mercato “La Vucciria” di Palermo, ma si possono citare altri casi in cui la presenza di un mercato non alzerebbe l’arrivo di turisti se non ci fosse anche il richiamo “preponderante” di altre mete attrattive. Prendiamo il mercato di “Forcella” a Napoli, oppure quello di “Portobello” a Londra, oppure “Izmailovo” a Mosca, o il “Gran Bazar”di Istambul. Ciascuno non ha eguali per il suo fascino e per la varietà di oggetti che vi si possono acquistare. Ma il più delle volte si dedica il tempo a visitare le altre cose che queste città offrono e che rappresentano la ragione principale per cui ci si è andati. In subordine si va anche al famoso mercato locale.
Il mio,punto di vista quindi è che ben venga un mercato rionale (stabile o con frequenza occasionale) che esponga il meglio delle tradizioni locali e che affianchi o scalzi addirittura le Luci di Artista, anche se difficilmente sarebbe in grado di ripeterne gli exploit in termini di afflusso di visitatori. Tuttavia, se realmente si aspira a vedere la propria città fregiarsi del titolo di città turistica a tutti gli effetti, occorre puntare su altre cose che pure esistono. Sembra quasi ovvio che di questa presenza tutti siano al corrente e tutti aspirino a farne conoscenza. Purtroppo la realtà è un’altra e quindi lo sforzo a livello istituzionale, e non solo, dovrebbe essere mirato a diffonderne la conoscenza in maniera capillare e intelligente, a beneficio anche dell’incremento delle visite.
Non sembri che questa visione miri ad affermare un turismo di élite e ad escludere un turismo di massa. Non è così: si tratta delle facce di una stessa medaglia che è tanto più preziosa quanto più da un lato si mette in giusta evidenza la bontà di monumenti e bellezze artistiche, mentre sull’altro lato compare una città pulita, ordinata, tale da arrecare solo un minimo di disturbo ai cittadini per la presenza di migliaia di visitatori.
Convengo che quest’ultimo aspetto abbia un’importanza non trascurabile, in quanto coinvolge la serenità dei cittadini, fino a creare il rifiuto per quelle manifestazioni giudicate colpevoli di tanto disagio. Tuttavia, se una manifestazione di notevole impatto sulla vita cittadina merita di essere svolta, non resta che trovare forme di convivenza con i problemi cui si va incontro.
Le Luci disturbano molto, soprattutto nei weekend delle settimane in cui sono accese. Degli esempi fatti la volta scorsa, forse solo Siena è interessata dal Palio per sole 2 volte all’anno. Ma a Roma i raduni in presenza del Papa avvengono ogni mercoledì e domenica di tutti gli anni, tranne quando il Pontefice è in visita pastorale fuori Roma. Il Carnevale di Viareggio vede sfilare i carri durante le domeniche del periodo di Carnevale. A Venezia c’è un continuo susseguirsi di eventi, con forti richiami di visitatori. L’abitudine a vivere in città turistiche ha creato nei rispettivi abitanti una specie di corazza verso i disagi apportati da turisti e visitatori. Se l’aspirazione del gran numero di salernitani è di vivere in una città turistica (che rappresenta comunque una opportunità economica, anche se non unica) allora devono farsi carico degli inevitabili disturbi e fastidi, comuni anche altrove per situazioni analoghe.
Se viceversa prevale la volontà di vivere quieti e di non aggiungere disagi a quelli già esistenti, allora fi faccia la scelta di chiudersi in un bozzolo protetto e isolato da e verso l’esterno.
Infine, fosse solo il turista a chiedere un occhio, perché abbagliato dalle bellezze, tante, che dalle nostre parti contribuiscono a riempire il paniere contenitore dei beni classificati come patrimonio Unesco!!
Il fatto insostenibile e che la vista annebbiata ce l’hanno anche amministratori e operatori del settore, colpevoli di trascurare i loro interventi, sia in città che fuori.
Ma per essere obbiettivi, non bisogna escludere dalla categoria dei corti di vista tutti coloro che non vedono dove abbandonare carte, cicche, bottigliette e altro e tranquillamente si servono delle strade quale contenitore più comodo più facilmente accessibili.
Salto tutta la prima parte e ringrazio per i complimenti, certamente immeritati. 🙂
Tu dici “Siamo sicuri che la cura risulti efficace?”.
Cosa si intende per “cura”? Dipende dai punti di vista o dalla “visione”, come dicono adesso. Dal mio punto di vista, se tu realizzi un centro storico con un numero di persone inferiore ma molto più interessato a quello che c’è nel centro storico, sia di storico, sia di commerciale, hai ottenuto tutto quello che devi ottenere dal centro storico, nel rispetto di chi ci abita e del centro storico stesso, che non sarà fragile quanto Pompei, ma è comunque antico e va preservato. A mio avviso, infatti, lo scopo non è esattamente quello di far arrivare quanta più gente possibile, motivando la cosa con il fatto che più i numeri sono alti, più si è “conosciuta” Salerno, più affari si fanno, più stanze si occupano, più “cuoppi” si vendono, ecc. Io sono terrorizzato dalle risposte che potrebbero essere date dai turisti ad un giornalista che dovesse andare nel centro durante il periodo delle luci a chiedere cose come “Chi era Arechi?”.
Hai nominato Napoli: leggevo qualche giorno fa (mi sembra sul Mattino online) che i commercianti di San Gregorio Armeno si erano lamentati perché alla folla oceanica non corrispondeva in realtà un aumento delle vendite. In sostanza, molte persone si facevano “i selfie” con le opere in esposizione, ma di fatto non erano interessate all’arte in sé, se non per il fatto che avrebbero riproposto l’immagine di se stessi sui social in un luogo fortemente connotato da una determinata tradizione. Questo vuol dire, però, che oggi tu puoi portare abbastanza facilmente tante persone nei centri storici, ma poi non è detto che economicamente ci sia una reale convenienza nel portarceli, e questo vale, bada bene, sia per il commercio che per le attrazioni di tipo storico. Ad esempio, non è assolutamente detto che queste mandrie festose, dopo aver passeggiato nel centro storico, andranno a visitare, chessò, il giardino della minerva o la cripta del duomo. Non solo: non è detto nemmeno che ritorneranno a Salerno!
Guarda cosa fanno a Pompei in questi giorni: s’inventano un abbonamento che ti consente di entrarci più volte durante l’anno, ovviamente spendendo di meno. Hanno capito che può essere usato come “parco” per le persone più interessate e vogliono stimolare l’accesso di questo tipo di pubblico. Salerno non è chiusa da una recinzione, ma puoi certamente inventarti qualcosa di molto simile.
Quindi, la mia idea è: anche meno gente nel centro storico, non necessariamente “elite” ma interessata, più artigianato, più tradizione, più cultura, più sinergia con il territorio circostante. Questo vuol dire anche cominciare a progettare lo sforzo di spostare “le masse” verso altri luoghi della città, appetibili per palati diversi da quello interessato al discorso della storia e della tradizione.
Quelli delle altre città sono casi un po’ diversi: Roma non si blocca tutta a causa del Papa, ad esempio. Siena ha una tradizione con una competizione tra contrade che noi non abbiamo e che coinvolge in maniera diretta i senesi molto più di quanto i residenti del centro storico siano coinvolti dalle luci o dalla “movida” (lo stesso discorso può essere applicato a Venezia e Viareggio, che hanno tradizioni antichissime, non poco più di una decade di luci, calate nella realtà salernitana più come evento che come tradizione).
Ma, vorrei ribadirlo, la mia visione non è quella del “bozzolo”, modello chiudiamoci dentro, facciamo tradizione e spegniamo tutta l’illuminazione. La mia idea è: facciamo turismo vero, con tradizione, storia e culture vere, per tutto l’anno, un po’ per volta, nel rispetto dei cittadini e del turista.
Sulla questione della pulizia concordo totalmente, come detto in precedenza.
Vorrei evitarmi nuovi ritorni su scambi di numeri telefonici o di complimenti, oppure dissertazioni su quale posto va attribuito all’asino nella graduatoria delle intelligenze degli animali.
Venendo al dunque, ho iniziato i miei interventi sul tema in discussione, perché impressionato sì dalle tante critiche rivolte alle lucine (??) in quanto tali, ma soprattutto per i continui brontolii (giustificati, proprio pertinenti??) generati da disagi e problematiche di ogni genere a causa dell’arrivo in città di un eccessivo numero di visitatori, nei weekend di alcune settimane a cavallo di fine anno.
Di qui l’accostamento con manifestazioni che si tengono in altre città. È chiaro che la neonata Luci d’Artista non può competere con un Palio di Siena o un Carnevale di Viareggio o una Mostra del Cinema e quant’altro a Venezia, o con le udienze del Papa a Roma o con la Formula 1 a Montecarlo e direi anche con il Concertone del 1* Maggio a Roma-Piazza San Giovanni. Si è infatti su un piano completamente differente.
C’è tuttavia qualcosa che le assimila tutte e che consiste nell’assemblamento di migliaia e migliaia di persone e nel loro muoversi per le strade. Esso può riguardare zone più o meno vaste delle città, oppure avvenire in periodi più o meno limitati nel corso dell’anno.
Qualunque sia il caso, tali situazioni presentano a fattor comune l’inevitabile disturbo che arrecano alla popolazione del posto, sia pure con valenza graduata dato che il problema investe, a seconda delle dimensioni, tutta la città o solo una parte di essa.
Non risulta tuttavia che gli eventi sopra citati abbiano suscitato o suscitino incontenibili moti di protesta o che addirittura si postula la loro eliminazione.
Sarebbe quindi imperdonabile che nel caso di Salerno i mugugni, come sospettato da taluni, siano piuttosto un falso scopo perché in realtà avrebbero come bersaglio l’ex-sindaco. In tal caso la vicenda assumerebbe una connotazione politica, su cui è meglio soprassedere.
Quando mi chiedo se un centro storico “attrezzato al meglio” possa rappresentare la cura efficace per un lancio (o rilancio, semmai ci fosse stato) di Salerno città turistica, intendo esprimere il mio dubbio in proposito, nel senso che trattasi di una misura parziale, settoriale e non coerente con il traguardo ipotizzato.
Mi viene di fare purtroppo anche una poco appagante considerazione. Se quel giornalista oltre ad interrogare i turisti delle Luci, ricevendone risposte a dir poco irrituali, si cimentasse nello stesso esercizio rivolgendo la medesima domanda a cittadini salernitani su chi fosse Arechi, non vorrei sbagliarmi ma la maggior parte risponderebbe citando o lo Stadio di Calcio o il Porto turistico Marina d’Arechi.
Può essere una constatazione molto amara che mi fa riandare a quanto dicevo qualche giorno fa e cioè spesso quello che si ha in casa è meno conosciuto dai locali che dai forestieri.
In primis quindi si deve acquisire un vero senso dell’accoglienza che consiste anche nel non considerare il turista come un pollo da spennare (è noto quale negativa notorietà investe Roma quando in qualche bar fanno pagare ad un ingenuo turista – quasi sempre giapponese – cifre iperboliche per un semplice caffè o gelato). Poi indottrinarsi e visitare fin da quando si è studenti tutto quello che offre la città, di antico e di moderno. Non si compete con le tante rinomate città d’arte che esistono in Italia, ma un certo patrimonio per arricchire sapere e conoscenze è reperibile anche da queste parti.
Ovviamente, è sempre valido anche il discorso che la vita cittadina deve essere caratterizzata da attività culturali, artistiche e da convegni in area industriale ed economico-industriale, senza perdere nel contempo il ruolo di base logistica per escursioni a Paestum, Pompei, o sulle due costiere, giustamente raggiungibili nei periodi estivi con l’impiego di mezzi navali.
Forse mi prefiguro un quadro idilliaco e ripongo nei miei concittadini una fiducia teorica, visto che, a parte le numerose disfunzioni dell’amministrazione e dei suoi addentellati, non esiste una controparte (tranne pochi, forse) che dimostri un reale interesse per il progredire della città.
Premetto che mi esprimo al solo scopo, credo costruttivo, di scambiare i miei pensieri con i tuoi: non sono minimamente interessato ad attaccare la giunta passata o presente, al massimo a dare dei consigli, sempre che qualcuno (oltre a te) si preoccupi di leggere quello che scrivo. Dico questo per sgomberare il campo da equivoci.
In generale, io credo che ci sia da fare un sacco di lavoro, sia sull’identità, sia sull’informazione, sia sulla formazione, sia sulla comunicazione: è un lavoro di decenni, non di anni, e implica una accurata e complessa pianificazione. Abbiamo visto che funziona il format delle lucine per far venire gente: questo ha evidenziato pro e contro.
Io trovo sbagliato, certamente dal mio punto di vista, il tuo ragionamento, quando praticamente fai capire che la gente, se vuole il turismo, deve stare zitta e tenersi i problemi che questo comporta e ritengo che questo sia il peggiore presupposto possibile per cominciare un discorso, mai davvero cominciato, sul turismo.
Concordo.
Specie nell’attuale situazione, conviene sempre meno impelagarsi nei fatti della politica, che ha tutto un suo modo di manifestarsi, per il quale occorrono … doti particolari per poterci convivere.
Forse risulta estremizzato, anche se contiene una sua logica, il mio ragionamento quando dò ad intendere che, se si vuole turismo, occorre soffrire per i disagi che esso comporta.
E’ naturale ormai ritenere che il turismo sia diventato un fenomeno molto complesso.
inizialmente se lo consentivano solo le classi benestanti, a cui non mancavano le risorse per spostarsi con i mezzi di comunicazione più confortevoli esistenti alle loro epoche, di utilizzare gli alberghi più costosi, di incontrarsi nelle varie località con amici e conoscenti di pari rango, coi quali avevano scambi sociali e culturali di alto livello, incluse visite a bellezze artistiche, spesso precluse ai più. Questi arrivi quasi sempre passavano inosservati e solo in occasioni eccezionali il cosiddetto popolino si mobilitava, se non altro per vedere il passaggio di certi personaggi.
Poi c’è stato l’avvento degli spostamenti di esponenti dell’industria, del commercio, della cultura e di altri settori, tutti in condizione di usare l’aereo, scendere in alberghi a più stelle, abbinare all’attività lavorativa tempi liberi da dedicare al turismo.
E’ esploso quindi il turismo di massa facilitato da una serie di misure messe in atto da tutti gli operatori del settore, coinvolti per invogliare il maggior numero di persone a … visitare il mondo.
Per sommi capi ho tracciato così una sintetica descrizione circa questo fenomeno moderno che ogni anno nel mondo mobilita un numero di persone a nove cifre.
Ciò detto, è chiaro che le prime due categorie di turisti passavano quasi inosservate da parte delle popolazioni dei luoghi visitati.
Diverso è il caso di quando l’espansione del fenomeno ha raggiunto dimensioni incompatibili con le capacità ricettive delle località, specie quelle più rinomate e dove avvenivano manifestazioni di forte richiamo o dove erano presenti monumenti o altre attrazioni da visitare almeno un volta nella vita.
Sentirsi scoperti come realtà capaci esercitare un forte richiamo sui visitatori esterni, ha inizialmente creato euforia e orgoglio, sia perché si è pregustata la possibilità di realizzare guadagni, sia perché molti hanno preso coscienza (per dirla semplicemente) che tutto ciò che si aveva in casa non era poi tanto scadente. Addirittura, per rendere più appetibile la torta, è cominciato il moltiplicarsi di iniziative, non sempre al top del buon gusto e strutturate, almeno nelle intenzioni, per far venire più gente possibile.
Spesso però, seguendo l’andamento della parabola, alla fase ascendente e raggiunto il culmine, sono apparsi i problemi.
Inopinatamente, in presenza di questi, le persone che con euforia avevano quasi ignorato le difficoltà e i disagi connessi al nuovo status, hanno cambiato modo di ragionare. A fronte delle mutate situazioni, fermo restando la facoltà di manifestare ogni tipo di lagnanza, dovrebbero invece non ignorare i vantaggi possibilmente ancora ricavabili e magari fornire contributi di pensiero costruttivi e migliorativi, magari per conseguire compromessi compensativi.
Non si debba dire che va tolto alla città per dare allo svolgimento di un evento, né si ipotizzi il viceversa. Le due entità devono coesistere e non esercitarsi reciproca violenza.
Concordo completamente.