Non è più in ipotesi, ma è realtà: sia che gli USA abbiano dismesso l’accordo con l’Iran, ripristinato un accordo con l’Arabia Saudita e siano pronti a rinegoziare un accordo con i primi, che eventualmente preveda anche un progressivo abbandono dell’area; sia che Russia e Turchia abbiano rafforzato la propria posizione, mediante il conflitto in Siria, sui confini orientali del Mediterraneo e ora, mediante il conflitto in Libia, abbiano occupato parte dei confini occidentali dello stesso mare.
Quello che veniva un tempo definito Mare Nostrum, nel quale attualmente si svolge il 40% circa dei traffici legati al commercio mondiale e dopo che negli anni scorsi la Cina aveva ivi indirizzato la maggior parte dei suoi ingenti investimenti destinati all’estero.
In entrambi gli stati di crisi internazionali, il ruolo dell’Italia è stato assolutamente marginale. La cosa in sé deve farci riflettere e principalmente sul fatto che dalla nuova situazione libica il nostro paese ha molto da perdere, in termini soprattutto economici, perché mantenendo un accordo con Al Serraj rischia seriamente d’inimicarsi sia il blocco dell’est del Mediterraneo, formato da Cipro Egitto Grecia e Israele, che Emirati e Arabia Saudita, tutti schierati con Haftar.
Al governo dell’Italia è dunque necessario e improcrastinabile un cambio di strategia, a livello sia internazionale che nazionale. Al punto che pare siano gli stessi protagonisti del governo in carica ad agevolare la propria fine e determinare il cambio, consci della propria debolezza divenuta ormai strutturale e irreversibile.
Ed è così pertanto che i Cinquestelle si dividono tra governisti, istituzionalisti, isolazionisti, barricaderi, nativi e quanti altri ancora; mentre Zingaretti e il “suo” Pd annuncia dalle colonne di Repubblica – in tutti questi anni una sorta di vero e proprio giornale di partito e schieramento – di avere il dovere di “costruire il soggetto politico dell’alternativa, convocando un congresso con una proposta politica e organizzativa di radicale innovazione e apertura”.
E quindi: un’“alternativa” a ciò che in questi anni il partito avrebbe rappresentato per il paese, come se fosse analogamente possibile il ritorno a una spinta “rivoluzionaria” abbandonata nel 1981 da Berlinguer e “ideologicamente” legata alle svolte degli anni successivi: 1989 con la Bolognina di Occhetto, 1991 con la fine del Pci, 1996 con l’Ulivo, 2006 con l’Unione e, leggendo l’intervista a Zingaretti, per finire con il Pd dal 2007 a oggi.
E infatti, ciò che più ha accomunato e fatto da collante, negli ultimi trent’anni passati, è stata ancora una volta, per queste stesse forze politiche di schieramento, l’impulso soprattutto dell’ideologia. Ma, a differenza di quanto sostenuto nel corso del secolo scorso, in Europa e in Italia i partiti della sinistra tradizionale hanno fatto leva anch’essi sull’ideale della “libertà”.
Al punto che molti analisti politici hanno ritenuto che la spinta propulsiva e rivoluzionaria della sinistra storica ottocentesca, di matrice hegeliana, avesse trovato piena attuazione nel liberalismo sovrastatuale delle organizzazioni internazionali.
Ma, come tutte le ideologie, anche il liberalismo ha dovuto fare i conti con la storia. A tale proposito, vi suggerisco l’interessante lettura del saggio di John J. Mearsheimer, docente di scienza politica all’Università di Chicago, uscito ora in edizione italiana con il titolo “La grande illusione. Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo”.
In breve, accade che sia in definitiva il realismo a imporsi all’azione politica di chi governa (realpolitik). In Italia, durante soprattutto quest’ultimo decennio, è accaduto che un eccesso di formalismo, di retorica, d’ideologismo abbia fatto perdere ai più il contatto con la realtà che, quotidianamente, muta.
Così che, in Italia e in molte altre nazioni, siano stati i veri liberali, risalenti a un tempo dell’antichità coevo alla diffusione dell’arte della politica in Occidente, a ricordare a tutti che il potere è sovrano e in specie, per quanto concerne la forma democratica, promana dal popolo che lo esercita, regolarmente, mediante libere elezioni.
Buon anno a tutti!
Angelo Giubileo