I Paesi sono stati classificati in base ai punteggi ottenuti in otto diverse aree: attenzione ai diritti umani, sostegno alla famiglia, uguaglianza di genere, livello di felicità, uguaglianza di reddito, sicurezza, istruzione pubblica e sistema sanitario. La stima del congedo parentale, ritenuto centrale nella crescita del piccolo e varia molto da luogo in luogo, ha inciso molto sul giudizio finale.
Danimarca, Svezia e Norvegia, noti per l’elevato livello di welfare e l’attenzione alla maternità e alla parità di genere, hanno occupato rispettivamente le prime tre posizioni. La Danimarca, come peraltro riporta il sito dell’Unione Europea, possiede un sistema di parental leave “tra i più generosi e flessibili nell’UE”. A entrambi i genitori vengono difatti concesse 52 settimane di congedo retribuito e le madri hanno diritto ad ulteriori 4 settimane di maternità prima del parto.
Anche in Svezia la situazione è piuttosto buona con 480 giorni di congedo parentale retribuito, di cui 90 riservati a ciascun genitore e non trasferibili all’altro. Mentre in Norvegia, le settimane di congedo sono a scelta 46 o 56 se pagate all’80% dello stipendio.
Quarto è il Canada, seguito dai Paesi Bassi che quest’anno sono saliti di un gradino. La Svizzera, “Miglior Paese al Mondo dove vivere” nella classifica generale del Best Countries Report, nella specifica graduatoria risulta, invece, settima. L’Italia si attesta al sedicesimo posto, preceduta da Germania, Francia e Spagna.
Nel nostro Paese, dal punto di vista del genere, il congedo parentale, è ancora molto squilibrato: la madre ha diritto a 5 mesi pagati di maternità distribuiti prima e dopo il parto ed il padre potrà astenersi dal lavoro solo per 7 giorni – dal 2020, 2 in più rispetto agli anni precedenti – mantenendo il proprio stipendio, più 1 giorno facoltativo da richiedere in alternativa alla madre.
È un quadro tutt’altro che soddisfacente, tanto più se si considera che l’Unione Europea fissa ad almeno 10 giorni il congedo di paternità. Certo non è un periodo lungo per i neo-papà, ma l’Italia non raggiunge nemmeno la soglia minima.
Al di là del dato impietoso emerso dalle comparazioni, ciò che amareggia e che dovrebbe indurre ad una riflessione più approfondita e scrupolosa è che a subirne le conseguenze, sono principalmente i bambini.
di Tony Ardito