Innanzi tutto, pare opportuno precisare che l’esperienza storica e anche l’attuale quadro politico consentono di affermare che non esiste una sola “destra”, il sostantivo, infatti, è accompagnato da vari attributi, ognuno dei quali significativo di una certa conformazione, se non ideologica (ci raccontano che le ideologie non esistono più) almeno di programma. Si evoca, così, una destra sovranista, una destra sociale, una destra fascista, una destra populista, molto più raramente una destra liberale.
Del resto, anche per la “sinistra”, si scrive di una sinistra riformista, di una sinistra comunista, di una sinistra antieuropeista, di una sinistra operaia o di popolo. In realtà, si tratta di definizioni di puro comodo, di una mera descrizione di fenomeni elettorali o, meglio, di flussi elettorali, che a volte si sviluppano in vasi comunicanti: come non vedere, ad esempio, tra la sinistra antieuropeista e la destra sovranista una certa identità di vedute, e la stessa cosa può richiamarsi per la destra sociale e la sinistra operaia e di popolo.
In effetti, una significativa similitudine può riscontrarsi anche tra la destra c.d. liberale e la sinistra c.d. riformista, che può comportare tanto scelte sinergiche nella tattica parlamentare, quanto scelte strategiche o di programma comune, a fronte di questioni centrali per gli interessi del Paese.
In questo contesto manca il centro, territorio abitato più che da elettori da un personale politico che intende conservare se stesso e la nostalgia del passato, ovvero più aspiranti ai seggi parlamentari che voti. Con questo non intendo dire che il “centro” dal punto di vista sociologico, composto dalla classe media e dai ceti produttivi, sia scomparso ma, piuttosto, sottolineare che esso non è più adeguatamente rappresentato in un partito o in un movimento.
Una destra moderna deve, però, rivolgersi proprio a questo “centro sociologico” (ad esempio, le partite Iva), e deve fare lo sforzo, nel contempo, di rappresentare i “bisogni” e le posizioni emergenti di quel “Quinto Stato” (lavoratori a tempo determinato, lavoratori senza tutela, giovani altamente scolarizzati) che si è sviluppato nelle pieghe dell’economia digitale e non, superando la narrazione che solo una certa sinistra governativa (che oggi è appiattita sul populismo grillino o su quello che di esso rimane) resterebbe capace di tanto.
Un punto di partenza, deve rinvenirsi nella valorizzazione degli ideali europeisti. I giovani hanno appreso, con i loro viaggi e i loro soggiorni di studio all’estero (basti pensare all’Erasmus) che la comunità dei popoli europei resta un traguardo da cui non può prescindersi.
Naturalmente, con questo non intendo difendere la sclerosi della burocrazia delle istituzioni europee né l’eurocentrismo del capitalismo finanziario né l’abrasione delle prerogative degli Stati nazionali, voglio solo richiamare quell’idea dei Padri fondatori finalizzata a creare un’Europa dei Popoli e una comune e condivisa idea dell’Unione, cui deve oggi seguire la valorizzazione delle istituzioni rappresentative (innanzitutto, del Parlamento Europeo).
Un secondo punto deve essere rappresentato da una concreta politica in favore delle giovani generazioni: la scelta della salvaguardia delle rendite di posizioni (anche, a volte, di quelle tipicamente pensionistiche) può risultare incompatibile con la necessaria apertura verso le esigenze di lavoro e le aspettative dei giovani, compromesse dalla crisi economica e sociale. Ciò impone una politica sostanzialmente egualitaria, che deve superare gli squilibri sociali e geografici (penso al Meridione) esistenti nel nostro Paese.
Una destra moderna ed inclusiva non può limitarsi a difendere l’esistente, ma deve coltivare il germe dell’innovazione e dell’eguaglianza, ripristinando le condizioni che rendano possibile il c.d. ascensore sociale (ciò impone, tra l’altro, una profonda riforma del sistema scolastico, formativo ed universitario).
In sostanza, nella teorica di una destra moderna, la tradizionale difesa delle “libertà” (a cominciare da quella economica) non può essere disgiunta da un’ altrettanto significativa valorizzazione del principio di eguaglianza.
Un terzo punto riguarda l’economia: non è sufficiente affidarsi alle sole regole del mercato, è necessario che, sia pur in casi limitati ed eccezionali, venga ritagliato un intervento di riequilibrio dello Stato, evitando, però, incrostazioni clientelari e di favore solo verso determinati soggetti, da sempre coessenziali al “potere” (basti pensare alle vicende che hanno interessato i “capitani coraggiosi”, intervenuti in alcune importanti vicende economiche per ragioni che si sono dimostrate puramente speculative). E’ evidente che ciò resta possibile solo in costanza di una profonda e seria riforma della pubblica amministrazione,
Nel raccogliere l’invito di un lettore, questi “punti” saranno i motivi ispiratori delle dieci proposte per una destra inclusiva e moderna, che avrò cura di rappresentare nel mio prossimo articolo.
Giuseppe Fauceglia