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Il pasticcio di Idlib e l’intesa in Afghanistan (di Cosimo Risi)

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L’area del Grande Medio Oriente, quella che secondo gli americani va dal Maghreb all’Afghanistan, è perennemente in tensione. Ora più che mai.

A Doha gli inviati degli Stati Uniti e dei Talebani firmano un’intesa (definirlo accordo sarebbe enfatico e forse prematuro) secondo cui gli americani, e con loro la NATO con il contingente italiano, lasciano l’Afghanistan in un progressivo disimpegno.

I Talebani avviano un confronto con tutte le fazioni presenti nel paese per restituirlo consensualmente al precedente status di presidio musulmano. Cosa questo significhi in termini di diritti civili, è da vedere. Non si dimentichi il regime che era inflitto alle donne ed a tutti i “diversi”.

L’intesa chiuderebbe così il conflitto avviato nel 2001, il più lungo ad impegnare gli Stati Uniti, con la campagna contro Al – Qaeda di Osama bin Laden, all’indomani degli attentati dell’11 settembre. L’intesa decreta di fatto la sconfitta dell’idea occidentale di trasformare l’Afghanistan in un paese “moderno”. Osama bin Laden fu ucciso in Pakistan, Al – Qaeda si è ridotta in termini di potenza per lasciare il posto al rivale ISIS – DAESH, l’Afghanistan torna nel controllo dei Talebani.

La guerra civile in Siria non ha mai termine. Idlib, l’ultima roccaforte, è oggetto della contesa fra le forze di Damasco e quelle di Ankara. A farne le spese è la popolazione civile che avvia un nuovo esodo verso luoghi più sicuri.

Con il memorandum 2015 con l’Unione europea, la Turchia s’impegnava a trattenere  i profughi sul proprio territorio in cambio di un congruo sussidio europeo. In tal modo frenava il flusso verso l’Europa e segnatamente la Germania, la destinazione finale.

Molte furono le riserve delle organizzazioni umanitarie per le condizioni in cui versavano i profughi, la ragione di stato le tacitò. Un afflusso enorme e incontrollato metteva in tensione le strutture di accoglienza in Europa e la stessa tenuta delle società civili.

Il problema si ripropone con i profughi di Idlib. La Turchia non intende più trattenerli e apre i varchi verso Grecia e Bulgaria. Una volta dentro l’Unione, essi avrebbero maggiore agio a proseguire verso il centro del Continente.

L’isola di Lesbo non regge più l’impatto. La Grecia usa le maniere forti per dissuadere i disperati. Bulgaria e Serbia erigono barriere. I profughi rischiano di restare intrappolati fra i fuochi di guerra da cui scappano e le porte che si chiudono davanti alla loro fuga. Le scene sono strazianti e muovono all’azione.

Sull’Unione si sta addensando la temuta tempesta perfetta. Da una parte il diffondersi del coronavirus, dall’altra la possibile ondata di nuovi arrivi. A meno di risposte finalmente energiche, saremo chiamati a pagare l’inerzia politica e militare allo scoppio della crisi siriana. Assistere immoti al disimpegno americano per contare sulla mediazione russa è stato un errore di cui ora è tardivo dolersi.

Gli Stati Uniti si stanno ritirando dalle aree di crisi. Accade in Libia, Afghanistan,  Siria. Restano vigili riguardo a Israele e Palestina, il loro “piano di pace del secolo” attende l’esito delle elezioni israeliane.

La Russia espande la propria influenza nel Mediterraneo. L’intesa con la Turchia conosce alti e bassi. Gli interessi di fondo divergono, come dimostrano i casi di Libia e Siria. La Turchia adopera lo strumento dei profughi per chiamare l’Unione a sostegno nella campagna contro i Curdi asserragliati in Siria.

La situazione ci mette di fronte alle nostre responsabilità strategiche. O battiamo un colpo o il colpo ci batte addosso.

di Cosimo Risi

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