E’ semplicemente l’unione di Ponte e Cagnano, dal nobiliare latino Canianus, a cui è stato poi aggiunto Faiano. Ovviamente, a quel tempo non sapevamo tutto questo. Perciò davamo ascolto al nonno che, ad ogni attraversamento del vecchio ponte di mattoni rossi, ci raccontava delle carrozze e dei cavalli.
Oggi, quel ponte non c’è più. E’ stato sostituito da un nuovo manufatto. Tutto il resto, però, c’è ancora.
Perché, pur avendo seguito un percorso di crescita, la cittadina (26.000 abitanti) non è cambiata di molto.
Chiusa dai reperti etruschi e dall’autostrada, a nord, e dalla ferrovia, a sud, si è allungata lungo la statale 18 e si è raggomitolata sul suo originario intreccio viario, dedalo arzigogolato e tortuoso, sostituendo i caseggiati antichi con nuovi fabbricati posizionati in modo da saturare aree e spazi vitali.
Dopo la chiusura delle aziende conserviere, che ne avevano diffuso il nome nel mondo, la sua economia poggia sul settore agricolo, con punte di eccellenza per metodi e tecnologie anche nel comparto della frutta, sulle aziende artigianali, sul commercio e sui servizi. Tutto è in tono minore, purtroppo. Le industrie pesanti non ci sono, perché non è certo un luogo adatto a loro.
Una insufficiente attenzione è stata riservata al turismo. Eppure, il territorio dispone di attrattori assolutamente importanti: il mare e la collina, ai margini opposti, le memorie archeologiche, in mezzo.
Da anni si è in attesa del recupero di Magazzeno con interventi di qualità accompagnati dal ripristino della legalità, dal ridisegno urbano e dal risanamento del mare, classificato tra ‘non balneabile, scarso e insufficiente’ (fonte: Portale MinSalute). La costa è regno di desolazione e degrado. La situazione del ponte sull’Asa è l’ultimo esempio. E non parliamo di quando scende la sera.
Appaiono limitate, infine, le utilità apportate dalle memorie etrusche, in parte ancora sepolte, delle quali non si conosce neppure la forza attrattiva poiché l’Istat non rileva gli ingressi al Museo (salvo errore – fonte: Istat Musei). Del resto, manca in giro qualsiasi richiamo a quel popolo. Eppure, gli Etruschi ci sono stati sul serio. La loro Città si chiamava Irna ed era la più importante dopo Capua. Più di Fratte, dove stiamo anche peggio.
Così, noi pensiamo che si dovrebbe investire su queste ‘ricchezze’ per dare un futuro alla Comunità. E. invece, sembra che tutte le attenzioni siano oggi rivolte solo alla realizzazione di tre progetti ‘essenziali’: l’aeroporto, un impianto rifiuti e l’alta velocità.
Sulle recenti vicende giudiziarie dell’aeroporto, non ci esprimiamo. Però, ci sia consentito di definire almeno ‘inconsueto’ l’utilizzo di una VIA per 500.000 transiti (MinAmbiente/Turismo 06/02/18) a base di lavori per farne arrivare 5.000.000. Intanto l’Europa ha avviato una procedura d’infrazione sul decreto 104/2017 di semplificazione delle VIA. E la VAS? E la VIS, che riguarda la salute della gente? Mah.
Si punta sullo scalo internazionale. Ma, in quell’aeroporto, nelle condizioni attuali, già nel 2011 passarono 25.000 viaggiatori trasportati da Alitalia e Air Dolomiti (fonte: Enac). Il successivo andamento in ‘picchiata’ fu indotto dalla insufficiente operatività delle linee. Non si riusciva a riempire neanche un bimotore da 40 posti. Un volo per Catania partì con un solo passeggero a bordo (fonte: giornalettismo.com).
Adesso, ne aspettiamo ‘a milioni’. E, dopo sbarcati, dove li portiamo? Lungo l’Aversana, per disperderli nei campi? In litoranea, a pedalare sulla infame pista o a passeggiare, di sera, se qualcuno dovesse gradire?
Il problema ‘spazzatura’ è nato da una autocandidatura (?) per un impianto di compostaggio. Oggi, con la costituzione dell’Ente d’Ambito per i rifiuti (L.R. n. 14/2016) e del Sub Ambito dei Picentini, che comprende altri sette Centri, il Comune è divenuto capofila ed è autorizzato a realizzare una struttura da 30.000 t/a per 300.000 persone (come Salerno!). In un territorio agricolo, noto anche per gli ulivi e la ‘tonda’ di Giffoni, la scelta appare veramente eccessiva. Peraltro, gli incolonnamenti degli automezzi che arriveranno da fuori non mancheranno di apportare contaminazioni. Eppure, di spazi più ampi, altrove, ce ne sono tanti.
E, allora, perché realizzarlo dove non ci sono neppure strade a sufficienza?
Forse, perché il DM Ambiente n. 22 del 14/02/13 consente di bruciare i residui dei rifiuti nei cementifici e, manco a farlo apposta, un cementificio già c’è, proprio a confine con via Irno, sito originariamente prescelto. E’ pure disponibile. Non crediamo sia il caso di scomodare il Mago Otelma per capire.
L’ultima novità è quella del treno veloce. Dovrebbe passare lungo via Diaz, a Faiano, dividendo ancor più il territorio nel quale, a sud, è prevista la metro per l’aeroporto (fonte: salernonotizie.it, zerottonove.it).
Tra i rifiuti, a nord, e l’aeroporto, a sud, ci vivono i cittadini. Che già hanno a che fare col depuratore dei liquami e il compostaggio di Salerno, a ovest, e ricevono da Battipaglia, a est, i veleni prodotti dai ricorrenti roghi tossici. E Sardone? Uno scenario davvero inquietante. Un accerchiamento che potrebbe riprodurre esperienze di luoghi ormai ‘famosi’ come il rione Tamburi’ di Taranto o la ‘Terra dei Fuochi’.
Bene. Si vede che questa terra vuole continuare ad essere luogo di transiti. Solo che, prima, ci passavano le carrozze mentre, ora, ci svolazzano i veleni. Che non sporcano come i cavalli, ma fanno ben altri danni.
I cittadini, però, non possono diventare spettatori ‘paganti’, vittime sacrificali di un assalto volto a realizzare opere milionarie di (vana)gloria destinate a lasciare, qui, gli inquinanti e a produrre, altrove, i profitti. Anche perché non ci sono né strutture, né infrastrutture, per trarne qualche vantaggio. E’ proprio terra di transiti!
Noi pensiamo che uno ‘scricciolo’ di territorio, poco più grande di ‘un soldo di cacio’, benedetto da una Volontà Superiore, per chi crede, o dalla Natura, per chi non crede, dovrebbe progettare interventi a Sua misura, tutelare le Sue specificità, esaltare i Suoi ‘beni comuni’ a beneficio di tutti, proporsi come ‘isola felice’ di qualità a sostegno delle Sue produzioni agricole e di una rinnovata offerta turistica incentrata sulle Sue ‘ricchezze ambientali e archeologiche’,
Il vincolo generazionale ci obbliga ad una prova di amore: trasferire alle future generazioni una ‘culla’ nella quale ‘vivere’ con dignità e nel rispetto degli equilibri della natura. ‘Vivere, non esistere’.
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