In questi cinquanta giorni, ormai, con l’avanzare del contagio e il numero crescente di deceduti, sindaci e governatori di regione hanno assunto provvedimenti normativi sempre più restrittivi e talvolta perfino in contrasto con quelli emanati dal governo e dal premier. Provvedimenti ritenuti dai medesimi sindaci e governatori “necessari”, in virtù, direi, di uno “stato di eccezione” presente sui corrispettivi territori di governo.
Ciò che configura un’anomala gestione del potere politico in cui, sintetizzava Carl Schmitt, “sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”. Ciò che, per l’appunto, sta accadendo e accade ora in Italia. Dalle cronache quotidiane di questi giorni, emergono “vincenti” le figure soprattutto di governatori – in particolare della Campania, della Lombardia, del Veneto, ma sporadicamente anche altri – e di sindaci che, metaforicamente, invocano e dichiarano lo “stato di guerra” al nemico silenzioso, che è il virus. E così adottano le misure ritenute necessarie, come “chiudere tutto” e far “rimanere aperte solo le fabbriche belliche” ovvero, in questo caso, le attività strettamente inerenti all’emergenza sanitaria o che si convertono allo scopo.
L’odierno governo nazionale, appellato come “il governo più a sinistra della storia”, è costretto oggi a vivere, politicamente, una delle cicliche nemesi o vendette della storia. Sono passati vent’anni dall’inizio della riforma del titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001) – che ha attribuito alle autonomie locali il riconoscimento (ex art. 5 della Costituzione) di enti giuridici preesistenti alla formazione della Repubblica -, riforma cardine di un intero processo di autonomia voluto e sostenuto dalle sinistre, avviato negli anni Settanta del secolo scorso e ora, nell’emergenza che viviamo, assurto definitivamente a modello della crisi del sistema politico inaugurato alla fine della Seconda Repubblica.
In una situazione di emergenza come questa, sarebbe stato e sarebbe sempre più auspicabile il governo e il concorso da parte di tutti. Se così non è, è giocoforza che ognuno faccia leva sul corrispettivo ambito o spazio di sopravvivenza.
Angelo Giubileo