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Rhapsody in Blue – un’indagine a Roma (di Cosimo Risi)

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Sta seduto alla scrivania, il Dirigente del Commissariato di Ponte Milvio. Al di là della finestra il paesaggio è ameno, non c’è che dire. L’inferriata sovrasta il muro di cinta del cortile, non è elettrificata, il cartello a caratteri neri su fondo giallo intima ai trasgressori di stare lontano, limite invalicabile, guardia armata.

La guardia armata è nella fantasia di chi ha scritto il cartello, il Commissariato non ha gli agenti per comporre gli equipaggi, e se è per questo neppure le automobili per portarli in giro.

Ora però si coordina con Carabinieri, Finanza, Esercito, sono più i militari schierati a Via del Corso che in Libia. Il centralino unico che risponde alle segnalazioni le smista al corpo meno impegnato, in gergo burocratico si chiama rimpallo delle competenze, basta avere le carte a posto e le registrazioni delle telefonate in ordine.

Fuori farà caldo da primavera avanzata. Il Vice Questore Carlo Salazar, detto Carlito come Al Pacino in Carlito’s Way di Brian De Palma, lo intuisce dal sole che insiste sui vetri per entrare nella stanza, lui lo tiene fuori assieme al virus, il Commissariato è stato appena sanificato, e poi il rumore esterno disturberebbe l’ascolto.

Ha i timpani rovinati dalla granata che gli scoppiò accanto quando serviva in Iraq, la promozione sul campo non gli ha restituito l’udito. Ora applica un doppio sistema d’ascolto: le cuffie alle orecchie e il volume del giradischi sull’ultima tacca. Nu burdell e pazz dentro l’ufficio.

All’Università ha studiato le lingue e perfezionato l’italiano che continua a tradurre simultaneamente dalla lingua madre, il napoletano. In napoletano sogna e quando si appiccica con qualcuno e quando alla buvette scuote la testa che il caffè di fuori è un’altra cosa. Questione di acqua, di torrefazione, di mano? Va a capire.  Nelle cuffie Riccardo Chailly dirige l’Orchestra di Santa Cecilia, con Stefano Bollani al piano, in Rhapsody in Blue di George Gershwin.

Qualche critico storce il naso: un pianista jazz a eseguire un brano di classica. Ma Jakob Bruskin Gershowitz, ebreo americanizzato a Brooklin in Gershwin, mescolava i generi musicali, era il compositore principe del Novecento, avrebbe accettato Bollani al piano.

Il Vice Questore non risponde, semplicemente non sente altro che la musica sparata a palla.

Stavolta più che sentire, vede. Il fedele Ispettore Antonio D’Antonio, detto Double Tony dai pochi amici quando non li sente, si è parato davanti alla scrivania e agita le braccia come il vigile urbano di Alberto Sordi all’incrocio di Piazza Venezia. Il Vice Questore toglie le cuffie, abbassa il volume del giradischi e gli risponde a voce alta.

Il Vice Questore prende la giacca dall’attaccapanni, fa spuntare i giusti centimetri di polsini della camicia dalle maniche, annoda la cravatta con il doppio sbuffo al centro, sistema la pochette in tinta nel taschino, ravvia all’indietro i capelli scuri appena striati di bianco alle tempie in corrispondenza del botto a Kirkuk.

Eau de parfum ISIS: perché ricordi con chi ha avuto a che fare. Gli verrebbe la voglia di mandare un selfie al sarto, quello che veste solo i VIP, che gli cuce gli abiti a un prezzo di favore  in cambio di un  favore che l’allora Vice Commissario gli fece quando lavorava alla Mobile.

La salita lungo la Via Cassia è scomoda col sole. Arrivati a Piazza Giochi Delfici con affanno, piegano a destra e poi a sinistra in una stradina privata dalla sbarra mobile che riserva l’accesso ai residenti. Palazzine borghesi ai due lati, sale d’ingresso pretenziose con piante sempre verdi e luci sempre accese.

Riconoscono lo stabile dalla volante delle Fiamme Gialle che staziona davanti al portone. Il Brigadiere li saluta sull’attenti, augura buon lavoro e taglia la corda con l’Appuntato alla guida. Vanno a caccia di evasori e trafficanti, non di omicidi di signore bene.

Bene deve essere stata la vittima, il Vice Questore lo capisce dalle targhette di ottone al citofono, dalla cabina di legno del portiere, dalla scala di marmo che fiancheggia l’ascensore. La percorre da solo fino al piano, teme gli ascensori a muro al pari di tutti gli spazi angusti.

Parte prima – segue

di Cosimo Risi

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