Benché infatti la pandemia di coronavirus continui a mietere numerose vittime in tutto il mondo (nel momento in cui stiamo scrivendo sono oltre 170mila, 24mila delle quali solo in Italia) e rappresenti la principale sfida sanitaria a livello globale, naturalmente le altre patologie non sono affatto scomparse.
Rischiano però di essere sottovalutate dai pazienti e non curate adeguatamente proprio per la paura di recarsi in ospedale e contrarre l’infezione. Il caso più emblematico è quello dell’infarto acuto, una delle condizioni più letali – assieme ad altri eventi cardiovascolari – nei Paesi Occidentali.
In base a quanto rilevato dal Centro Cardiologico Monzino, che oltre alla propria esperienza clinica cita studi internazionali sulla delicatissima questione, da quando la pandemia di coronavirus si è diffusa “sono diminuite del 40 percento le procedure salvavita di cardiologia interventistica”, perché, spiegano gli specialisti in un comunicato stampa, a causa del “timore del contagio, le persone evitano gli ospedali”.
“I pazienti che si presentano al nostro pronto soccorso arrivano con ritardo rispetto all’insorgenza dei sintomi, sono mediamente più compromessi e pertanto richiedono interventi più complessi e rischiosi, e meno efficaci. Segno che i cittadini sottovalutano i sintomi dell’infarto e aspettano troppo a lungo prima di accedere all’ospedale, spesso per paura del contagio da Coronavirus. Ma così mettono ancora più a rischio la loro vita”, ha dichiarato il professor Emilio Assanelli, responsabile del Pronto Soccorso dell’istituto specialistico di Milano.
Il dottor Giancarlo Marenzi, Responsabile della Unità di Terapia Intensiva Cardiologica del Monzino e autore di uno studio redatto con i colleghi Antonio Bartorelli e Nicola Cosentino, ha sottolineato che i pazienti che arrivano in ospedale sono sempre più gravi, “spesso già con complicanze aritmiche o funzionali, che rendono molto meno efficaci le terapie che da molti anni hanno dimostrato di essere salvavita nell’infarto, come l’angioplastica coronarica primaria”.
Il rinvio dell’accesso ai Pronto Soccorso è “deleterio e spesso fatale”, spiega lo scienziato, poiché impedisce interventi tempestivi: il fattore tempo è infatti fondamentale nel trattamento dell’infarto.
Marenzi e colleghi citano in particolar modo uno studio spagnolo sull’attività delle terapie intensive cardiologiche svolta tra il 24 febbraio e il primo marzo di quest’anno: mettendola a confronto con quella del 2019, è stato rilevato un crollo “del 40 percento delle procedure di angioplastica coronarica primaria”, che è stato osservato anche in altri contesti internazionali.
Emblematico il caso di New York, dove dalla fine di marzo al 5 aprile sono state effettuate quasi 2mila chiamate di richiesta di soccorso per arresto cardiaco: sono 4 volte di più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con un tasso di mortalità 8 volte superiore. L’arresto cardiaco, secondo gli studiosi, nella maggior parte dei casi si è manifestato proprio a causa di un infarto non trattato.
Alla luce di questa situazione drammatica, i medici del Monzino fanno un appello a tutte le persone che presentano sintomi di recarsi prontamente ospedale: “Per evitare il virus non dobbiamo rischiare di morire di infarto”. Il professor Bartorelli spiega che al Monzino sono state prese tutte le misure necessarie per ridurre al minimo i rischi di potenziale contagio, attivando percorsi e aree differenziati per i pazienti potenzialmente affetti da COVID-19, mantenendo tuttavia “il massimo standard di cura”.
Le persone, conclude Bartorelli, devono sì continuare a fare attenzione al contagio, ma non esitare minimamente a recarsi in ospedale per farsi curare in tempo. Se questa situazione dovesse persistere, infatti, “la mortalità per infarto superererebbe di gran lunga quella direttamente associata alla pandemia”.
Fonte: Fanpage.it