L’alovaf di Andrea Fortunato (di Vincenzo Capuano)

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Il protagonista di questa alovaf è uno dei bambini che giocavano, rincorrendo un pallone, nel giardino del palazzo di via Arce, dove abitavo da ragazzo. Una di quelle storie che sembrano collocate in luoghi lontani e in tempi indefiniti, e invece, spesso, si dipanano al tuo fianco.

Le favole sono racconti in cui il protagonista, dopo varie peripezie, raggiunge la salvezza e la felicità.

L’alovaf è una favola al contrario.

In questa storia, infatti, succede esattamente l’opposto di quello che si racconta nelle favole.

Un bambino, finiti in fretta i compiti, corre nei campetti del rione a tirare calci a un pallone. Gioca e come tutti i bambini sogna di diventare un calciatore famoso, di essere ingaggiato da una grande squadra, magari dalla Juventus e poi di essere convocato addirittura in Nazionale.

Andrea partecipa ai tornei di calcio della nostra provincia e si capisce subito che con il pallone ci sa fare. Giovanissimo, lascia Salerno e la sua famiglia. Non sento più il pallone sbattere sotto il balcone della mia stanza. Andrea sta crescendo nelle squadre giovanili del Como e poi, sempre nel Como, gioca le prime partite nei campionati che contano. In breve passa al Genoa, in serie A. E vengono, ancora una volta in fretta, quei giorni in cui la vita ti offre più del sogno.

Mancano dieci minuti alla fine di Genoa – Milan. Il Genoa sta perdendo due a uno. Ascolto la partita per radio: in campo il mio Milan, ma nell’altra squadra c’è quel ragazzo che tirava calci a un pallone nel giardino proprio sotto la mia camera, dove trasorrevo interi pomeriggi a studiare. Mi è semplice scegliere da che parte stare, sogno un finale indimenticabile per lui. Se la partita finisse con questo risultato, la sua squadra retrocederebbe in serie B. Il Genoa è disperatamente all’attacco, con tutti i giocatori. Anche lui, Andrea, terzino sinistro, si porta frequentemente in avanti.

Il suo compito è difendere, ma ora bisogna attaccare a ogni costo. Tutto succede, come sempre, in un attimo. In un baleno si dissolvono o si rendono concreti i sogni di tutte le notti. Un cross dalla fascia destra: il pallone attraversa tutta l’area del Milan, e Andrea che partecipa all’azione correndo sulla fascia opposta, vede il pallone a un passo e con uno stop perfetto ne arresta la corsa.

Il pallone è ora proprio davanti a lui. Sembra impossibile che stia accadendo. Il giovane salernitano con il numero tre sulle spalle colpisce con precisione, segue la palla con il fiato sospeso, finché non la vede superare la linea di porta. Gioia infinita. È il pareggio, è la salvezza per la sua squadra. E lui è ormai nella storia sportiva di una città, di un campionato”.

“Il sogno non finisce. In pochi mesi l’impossibile diventa concreto. Arriva la telefonata di un dirigente della Juventus, che gli propone di giocare con la maglia che fu di Antonio Cabrini. Poco dopo l’allenatore della Nazionale, Arrigo Sacchi, gli consegna, per una partita ufficiale dell’Italia, la maglia di Paolo Maldini. In quel ruolo Andrea è ormai fortissimo.

Il finale lo conosciamo tutti, ma credo che vada raccontato. Le storie tristi sono pietre miliari della vita, e questa di Andrea è la storia felice di un successo anche se tinto dei colori più cupi.

“Un pomeriggio, disteso sul divano, davanti al televisore, stavo quasi addormentandomi quando percepii in modo confuso poche parole, che facevo fatica a mettere insieme: ospedale, Juventus, Andrea Fortunato.

Cercai immediatamente di captare altri notiziari e quello che temevo diventò una notizia reale. La TV raccontava di febbri inspiegabili e informava che stava diventando, per il bravo atleta, sempre più faticoso correre e calciare.

La diagnosi fu subito crudele: leucemia mieloide acuta.

Iniziò una battaglia senza tregua, che Andrea affrontò con l’aiuto dei suoi cari. Anche in quell’occasione mostrò la sua determinazione, e un giorno qualcuno gli disse che aveva sconfitto la leucemia.

Fu proprio allora che parlai con lui al telefono, per la prima volta da quando era andato via. La Nazionale italiana doveva giocare a Salerno, in squadra avrebbe debuttato il suo amico Ravanelli. Era felice, sereno, ma con i piedi per terra: “Parlare di un mio ritorno al calcio oggi è prematuro”.

Si era così sicuri che fosse guarito, che i medici che lo avevano curato gli chiesero di posare per un poster insieme ai compagni di squadra: Del Piero, Baggio, Ravanelli e Vialli. Sul poster c’era scritto: “Per sconfiggere la leucemia, i campioni dello sport insieme…”. Quel poster è ancora oggi nel mio studio.

Il 25 aprile di venticinque anni fa, di sera, ero in camper in Sicilia. Il cellulare squillò e mio padre, con la voce rotta mi disse: “Te lo comunico altrimenti lo sapresti domani dalle prime pagine dei giornali” e non riuscì più a parlare”. Capii subito. Sulle prime pagine dei giornali, tra la gente che conoscevo, non poteva andarci che lui.

Un destino crudele ha voluto che una polmonite, quando ormai tutto sembrava superato, fosse causa della sua scomparsa prematura.

Restano ancora confuse, nella mia mente, le immagini del suo funerale. Entrò in chiesa portato a spalla dai giocatori della Juventus, uscì portato a spalle dai giocatori della Salernitana, la squadra della sua città.

Le parole di Gianluca Vialli: “Caro Andrea, ti abbiamo voluto bene, ti porteremo sempre nel nostro cuore, e tu da lassù aiutaci a non piangere, ma a vivere il tuo ricordo di chi sa che averti conosciuto, anche se per poco, è stata una grande fortuna. Speriamo che in Paradiso ci siano squadre di calcio, così che tu possa continuare a essere felice correndo dietro a un pallone.

Onore a te, Andrea Fortunato.”

Ricordo che, mentre giocavi con tuo fratello nel giardino del condominio dove abitavamo, ti chiedevo di non far più rumore calciando la palla contro il muro, perché dovevo studiare…

Ora vorrei…

di Vincenzo Capuano

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