Gli spettatori seduti ogni tre poltrone e a file alterne.
Unico atto (senza luce, senza parole).
Il sipario si apre: buio. Buio e silenzio.
Da questa scena, orfana di luce, satura di nero, gli spettatori non riescono a distogliere lo sguardo. Sulla retina si formano timide immagini che si espandono come inchiostro sulla carta assorbente, prima indistinte poi sempre più chiare. Si percepisce un fiume scorrere, lontano. Partono delle note.
Immaginate che non ci sia alcun paradiso / Se ci provate è facile / Nessun inferno sotto di noi / Sopra di noi solo il cielo / Immaginate tutta le gente / Che vive solo per l’oggi.
L’uomo in quinta fila, poltrona numero sette, sale su una feluca. La barca lascia la sponda del Nilo e si avvia leggera ad attraversare la Nubia.
La donna in nona fila, lato destro del palcoscenico, poltrona numero due, riscopre il paese della sua infanzia e il suo fiume. Lo riconosce, disegnato dalla luna. Lo insegue lungo la pianura fino all’orizzonte. Si rivede, mani intrecciate, con il compagno d’infanzia. Camminano felici lungo la via di terra battuta che segue la sponda del corso d’acqua e che, dopo l’ultima insenatura, s’inoltra nel bosco. Nell’ombra della quercia si baciano teneramente. Poi, improvviso, il rumore della guerra. Mostar viene ingabbiata dalla paura, crolla un antico ponte.
Quel giovane con la giacca blu e la camicia bianchissima, seduto in ultima fila, è a Bucarest lungo il Dambovita. Osserva un ragazzino con i pantaloni stracciati e la maglietta sporca, dallo sguardo assente. Non ha bisogno di ascoltare la sua storia, è una storia triste che conosce bene. Gli tende la mano. Il bimbo, confuso, smette di sniffare colla, e allunga a sua volta la mano. Insieme si allontanano, mano nella mano. Lontano dal fiume, proveranno a tracciare nuove strade. La musica si attutisce.
Immaginate che non ci siano patrie / Non è difficile farlo / Nulla per cui uccidere o morire /Ed anche alcuna religione / Immaginate tutta la gente / Che vive la vita in pace.
L’acqua non è solo fiume, è soprattutto mare senza terra. La distinta signora in
prima fila, a metà tra i quaranta e cinquant’anni, ancora bellissima, si ritrova sulla prua di una nave in mare aperto. Si riscopre giovanissima. Accanto ha i suoi tre figli che giocano. La nave percorre pigramente la rotta Helsinkhi-Stoccolma. La donna ha di fronte il marito. Coglie sul suo volto un’espressione stanca, ma serena. I ricordi disegnano la vita.
La musica continua dolce, mentre lei ricorda ogni particolare di quell’estate … poi osservando i bambini si sofferma a pensare all’ultimo articolo (Dreher ML, Nutrients. 2018) letto sull’alimentazione che sottolinea come meno del 10% delle popolazioni occidentali consuma livelli adeguati di frutta intera, nonostante siano sempre più evidenti i benefici per la salute. Un apporto adeguato di frutta riduce i problemi gastrointestinali (ad es. costipazione, sindrome dell’intestino irritabile, malattie infiammatorie intestinali e malattia diverticolare), riduce il rischio di malattie cardio-cerebrovascolari, di diabete di tipo 2.
È una difesa contro i tumori del colon-retto e del polmone; migliora le probabilità di successo dell’invecchiamento; modera la gravità dell’asma e della broncopneumopatia cronica ostruttiva; migliora il benessere psicologico e riduce il rischio di depressione; contribuisce a una maggiore densità minerale ossea in bambini e adulti; limita il rischio di dermatite seborroica.
Immaginate che non ci siano proprietà / Mi domando se si possa / Nessuna necessità di cupidigia o brama / Una fratellanza di uomini / Immaginate tutta le gente / Condividere tutto il mondo.
L’uomo in feluca approda nella Valle dei Re. Con il cuore in gola, assapora il momento in cui vedrà per la prima volta la tomba di Tutankamon: è il sogno di una vita.
Il ragazzo in ultima fila continua a tirare sassi sulla superficie del fiume della sua infanzia, solo, spensierato. Ritrova suoni, colori, emozioni che pensava di aver perduto.
La donna in nona fila, mentre percepisce in sottofondo lo scorrere della Neretva, vede uomini ricostruire un ponte, pietra dopo pietra. È il 2004. La gente ricomincia ad attraversarlo, i ragazzi a tuffarsi. È il nuovo ponte. Una lacrima gli riga il volto, non è dolore, non è gioia, è voglia di ritornare a respirare a pieni polmoni.
Si chiude il sipario, si riaccendono le luci. In sala un lungo applauso. Nel buio, un fiume che scorre leggero ha fatto riaffiorare immagini dimenticate, emerse dal nulla. Ognuno è stato spettatore e regista.
È il gioco della vita.
Si potrebbe dire che io sia un sognatore / Ma io non sono l’unico / Spero che un giorno vi unirete a noi / Ed il mondo sarà come un’unica entità.
di Vincenzo Capuano