Oltre 20 ricercatori hanno lavorato senza sosta alla ricerca di anticorpi in grado di bloccare la produzione del virus, quindi per ucciderlo di fatto e 17 ottimi candidati sono stati selezionati. Il passo successivo è riprodurli artificialmente in modo da averne una maggiore quantità e confermare i risultati, in modo da sceglierne i migliori da testare poi sull’uomo.
La fase di riproduzione e selezione ulteriore dovrebbe durare circa 3 settimane mentre i test sull’uomo circa 6 mesi. L’intento più a breve termine è quello di utilizzarli a scopo profilattico/terapeutico e poi come una sorta di “esca molecolare” per la ricerca di antigeni per lo sviluppo di vaccini.
In altre parole in prima battuta gli anticorpi scelti serviranno a fermare il virus “in azione”, quindi come terapia per chi ha contratto l’infezione. Era questa la speranza annunciata anche da Andrea Crisanti nella nostra recente intervista, durante la quale il virologo sosteneva come l’evoluzione del plasma iperimmune, oggi usato come trattamento di emergenza, fosse proprio l’isolamento della parte attiva del plasma, ovvero gli anticorpi e la loro riproduzione in laboratorio.
Ed è quello che si è fatto anche in questo caso: reclutamento di pazienti convalescenti o guariti, isolamento dal sangue della cellule B produttrici di anticorpi monoclonali, così chiamati perché prodotti da un solo tipo di cellula immunitaria e in grado di colpire un solo antigene, il bersaglio.
Ma nel futuro meno immediato gli anticorpi potranno essere usati anche per riprodurre in vitro proprio questi bersagli così da progettare potenziali vaccini che stimolino la produzione degli anticorpi giusti nei soggetti sani.
Non è una novità assoluta d’altronde: gli anticorpi monoclonali sono ampiamente utilizzati anche nelle terapie oncologiche e quindi già regolamentati e recentemente anche per malattie infettive: nel caso dell’infezione da Ebola hanno rappresentato la prima e unica soluzione per terapia e prevenzione.
Secondo i ricercatori, inoltre, gli anticorpi monoclonali hanno tempi di sviluppo più rapidi rispetto ai vaccini o ad altri farmaci antivirali e per i virus, molto meno complessi dei batteri, i tempi di sviluppo sono generalmente ancora più corti.
“I risultati ottenuti in questa prima fase della ricerca ci pongono in una posizione di primo piano nel panorama internazionale – spiega Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’INMI Spallanzani – e confermano la bontà della nostra scelta di puntare su una tecnologia con ampio potenziale come quella degli anticorpi monoclonali”.
In questa battaglia, dunque, è stato messo a segno un ottimo punto a nostro favore.
Il lavoro è riportato in pre-print su BioRxiv.
Fonti di riferimento: Fondazione Toscana Life Sciences / BioRxiv