Fermati capi storici, elementi di vertice, luogotenenti e affiliati alle potenti cosche operanti nella città di Reggio Calabria, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, diverse estorsioni in danno di imprenditori e commercianti, detenzione e porto illegale di armi, aggravati dal metodo e dalla agevolazione mafiosa.
Non ci sono solo noti boss, ma anche chi ha – quanto meno formalmente – vestito i panni di un rampante imprenditore, pur continuando a comandare da giovane boss. Si tratta di Giorgetto De Stefano, il “Malefix” compagno di Silvia Provvedi, del duo “Le Donatella”, ex di Fabrizio Corona appena diventata mamma.
Lui è figlio illegittimo del boss Don Paolino, riconosciuto come “di famiglia” dai fratellastri che in tarda età gli hanno permesso di prendere anche il cognome dello storico boss e un ruolo di peso negli affari criminali di famiglia.
Gli investigatori della Polizia, grazie al monitoraggio di alcuni summit di ‘ndrangheta effettuato nell’operazione denominata “Malefix”, sono riusciti a ricostruire il tentativo di scissione della famiglia facente capo a Luigi Molinetti dalla casa madre dei De Stefano, storicamente egemone anche nel centro di Reggio Calabria.
La volontà di Gino Molinetti e dei figli di rendersi autonomi, secondo quanto emerso dalle indagini, nasceva dal malcontento del gruppo per l’iniqua spartizione dei proventi estorsivi, il mancato riconoscimento di avanzamenti gerarchici nell’organizzazione, la mancata elargizione di prebende che pretendevano in virtù degli anni di fedeltà e dedizione alla cosca, e nell’avversione alle pretese espansionistiche dei Molinetti sul locale di Gallico.
Il timore che i dissidi potessero degenerare in una scissione dagli esiti incerti e pericolosi, secondo le indagini della Squadra mobile reggina e dello Sco, ha indotto i fratelli Carmine e Giorgio De Stefano ad investire della questione Alfonso Molinetti, fratello di Luigi, ritenuto uno dei loro alleati più fedeli.
L’inchiesta della Dda reggina ha anche portato alla luce i forti attriti tra le cosche De Stefano-Tegano e Libri. Dalle indagini, infatti, è emerso che ciascun gruppo raccoglieva le estorsioni secondo prassi che non tenevano conto degli accordi in base ai quali i proventi dovevano essere divisi tra le cosche di riferimento sul territorio.
Antonio Libri, che per gli investigatori aveva assunto le redini dell’omonima cosca dopo l’arresto dei capi, aveva saputo che in occasione delle festività natalizie del 2017 era stata raccolta da Carmine e Giorgio De Stefano una consistente somma di denaro, nell’ordine di alcune migliaia di euro, senza che nulla venisse corrisposto ai Libri.
L’episodio riguardava un noto imprenditore della ristorazione, titolare anche di alcuni locali di intrattenimento. Antonio Libri aveva quindi informato Orazio Maria De Stefano, esponente di vertice dell’omonima famiglia, ed altri esponenti dei Tegano, organizzando con alcuni di loro un summit per definire nuove e congiunte modalità estorsive e la formazione di un gruppo misto costituito da appartenenti alle due distinte consorterie – una sorta di commissione tecnica – con l’obiettivo di evitare sovrapposizioni e fraintendimenti e provvedere ad un efficiente sistema di rastrellamento estorsivo lungo tutto l’asse del centro cittadino di Reggio Calabria, organizzando anche l’imposizione intimidatoria delle assunzioni da parte dei gestori di attività.
Fonte: LaStampa.it