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Il teatrino delle parole (di Giuseppe Fauceglia)

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Il principale partito di governo, i 5 Stelle, ed il principale partito di opposizione, La Lega, hanno assunto una comune posizione di rifiuto dei fondi europei del MES, pur essendo  evidente che i finanziamenti europei, erogati senza interessi, sarebbero necessari per rafforzare e modernizzare il nostro sistema sanitario, con conseguente liberazione di altre risorse da impiegare per favorire lo sviluppo del Paese.

Entrambe queste formazioni politiche vengono definite “populiste” (anzi, rappresentano la sintesi di diversi populismi, tra cui quello venezuelano di cui resta  massima espressione Alessandro Di Battista), con un elemento  in comune: l’antieuropeismo.

Si tratta di formazioni o movimenti che, sostanzialmente, sono ancora legati al “passato”, prigionieri di un’ideologia che per anni ha contraddistinto una certa sinistra estrema (il terzomondismo) e una parte della destra (l’anticapitalismo sovranista).

Non ignoro che nelle pieghe del MES possano nascondersi opzioni future pericolose, ma una classe di governo davvero consapevole dovrebbe ricercare, tra le forze parlamentari, una base comune per proporre una “risoluzione” che preveda una MES senza alcuna implicita condizione pregiudiziale, e che escluda quella condizionalità macroeconomica e di finanza pubblica esibita con la Grecia, ovvero  ponga lo strumento fuori dai presupposti di stabilità in materia di disavanzo e di debito (che, per ora, sono “sospesi”, ma che verranno evocati non appena i Paesi dell’Unione avranno superato gli effetti della crisi pandemica).

Il problema vero, però, è l’utilizzo dei fondi del MES, perché non credo che questo Governo possa davvero varare un vero programma di riorganizzazione del sistema sanitario (troppi restano gli interessi, non sempre leciti, che ad essa fanno riferimento).

Ed ancora, l’utilizzo anche dei “buoni” Recovery fund implica una grande progettualità politica, perché questi fondi debbono essere  finalizzati a riforme strutturali del sistema industriale ed amministrativo.   Basta guardare ai ritardi e ai contrasti nati all’interno dell’attuale maggioranza sul decreto semplificazione, annunciato come “una svolta epocale per la modernizzazione del Paese”, per confermare il più cupo pessimismo.

Purtroppo l’Italia resta un paese incapace di gestire in modo efficiente le risorse pubbliche, essendo specializzata solo nella spesa assistenziale finalizzata al consenso politico. Questi fondi potranno anche essere erogati  dall’Europa, ma, in assenza di una forte coesione politica, serviranno alla Sinistra padronale per risolvere i problemi delle grandi imprese assiste e ai capi-popolo per affacciarsi “sul balcone” e dichiarare che la “povertà è finita”.

Una parentesi: non credo che questa coesione politica possa riscontrarsi in un solo ed unico punto del  programma, ovvero  evitare che Salvini conquisti l’Italia, così come emerge dall’intervista su “La Stampa” dell’on. Franceschini, il quale ripete il “mantra”  finanche con riferimento alle riforme istituzionali, che invece dovrebbero, per loro stessa natura, richiedere altra missione.

L’Italia si trova oggi di fronte a scelte che andrebbero compiute non guardando al proprio elettorato, ai piccoli ed immediati interessi di bottega, ma agli interessi delle prossime generazioni: una politica che intende assumere responsabilità di governo dovrebbe avere ben chiara la drammaticità del momento, e questo vale soprattutto per il Sud, stretto tra una crisi  strutturale e gli effetti micidiali che la pandemia ha prodotto sul tessuto produttivo (agricolo, industriale e dei servizi). Eppure, proprio nel Mezzogiorno si rafforza una classe politica dedita più al cabaret televisivo che al governo del territorio, non  finalizzato agli interessi delle proprie clientele.

Vorrei su questo argomento aprire una parentesi: intellettuali ed uomini di cultura hanno recentemente sottoscritto un appello  per “Velia Teatro Festival”, si tratta di un’importante iniziativa culturale che da decenni si è svolta nel parco archeologico di Velia, e poi, per assenza di finanziamenti e per altre inspiegabili ostilità di alcune istituzioni locali, trasferita presso la Fondazione Alari.

Negli anni passati ho avuto modo di assistere ad opere teatrali  della tradizione  greca e romana (in coerenza con il “luogo” in cui si svolge la manifestazione), di elevato spessore culturale e con la presenza di ospiti e spettatori provenienti da ogni parte d’Europa.

E’ possibile che questa manifestazione non debba avere alcun sostegno dalla Regione Campania ? eppure l’ente dispone di oltre 50 milioni di euro per finanziare ogni iniziativa, la più diversa e disseminata tra sacre e spettacoli (o spettacoletti) di varia natura. Una piccolissima parte di questi fondi, consistente in qualche decina di migliaia di euro, potrebbe essere utilizzata per conservare un’esperienza, diversamente destinata all’estinzione per consunzione, che ha un’indubbia rilevanza culturale e rappresenta un unicum in Italia.

Gli appelli, però, sono ad oggi rimasti inascoltati, nel più assoluto silenzio delle istituzioni regionali. Allora da queste pagine voglio lanciare un appello in favore di chi non ha protettori politici ed opera con abnegazione personale, credendo nella missione della cultura: “SALVIAMO VELIA TEATRO FESTIVAL”.

Giuseppe Fauceglia

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