“Abbiamo utilizzato delle lampade a raggi Uv di tipo C, quelli che non arrivano sulla Terra perché vengono bloccati dall’atmosfera. Per capirsi, sono simili ai dispositivi usati per purificare gli acquari.
Nell’esperimento sono state posizionate sotto le lampade gocce di liquido di diverse dimensioni (droplet) contenenti Sars-CoV-2, per simulare ciò che può essere messo parlando o con uno starnuto.
Abbiamo valutato una dose bassissima di virus (quella che può esserci in una stanza dove è presente un positivo), una dose cento volte più alta (che si può trovare in un soggetto con forma seria di Covid-19) e una quantità mille volte più alta, impossibile da trovare in un essere umano o in una qualunque situazione reale.
In tutti tre i casi la carica virale è stata inattivata in pochi secondi al 99,9% da una piccola quantità di raggi UvC: ne bastano 2 millijoule per centimetro quadrato”, ha spiegato in una intervista al Corriere della Sera.
Lo stesso esperimento è stato fatto con i raggi UvA e UvB, ovvero quelli che arrivano sulla superficie terrestre ed il prof Clerici afferma che “i risultati sono molto simili, ma li stiamo sistemando e quindi non sono ancora disponibili per la comunità scientifica. Il lavoro degli astrofisici è stato quello di raccogliere dati sulla quantità di raggi solari in 260 Paesi dal 15 gennaio a fine maggio. La corrispondenza con l’andamento dell’epidemia di Sars-CoV-2 è risultata quasi perfetta: minore è la quantità di UvA e UvB, maggiore è il numero di infezioni.
Questo potrebbe spiegarci perché in Italia, ora che è estate, abbiamo pochissimi casi e quasi tutti con pochi sintomi, mentre alcuni Paesi nell’altro emisfero — come quelli del Sud America, in cui è inverno — stanno affrontando il picco. Un caso a sé stante è rappresentato da Bangladesh, India e Pakistan dove, nonostante il clima caldo, le nuvole dei monsoni bloccano i raggi solari. Sottolineo che nell’analisi dei colleghi astrofisici sono state prese in considerazione anche altre variabili, come l’uso della mascherina e il distanziamento interpersonale”.
Dunque, le goccioline che possono essere emesse da un eventuale soggetto positivo vengono colpite dai raggi solari e la carica virale è disattivata in pochi secondi.
Sarebbe quindi possibile utilizzare lampade a raggi Uv per disinfettare i luoghi chiusi. La quantità di raggi emanati dai dispositivi peraltro non sarebbe dannosa per gli esseri umani perché parliamo di quantità minime e tempi brevissimi. Potrebbero essere utilizzate nei cinema, negozi, uffici e anche nelle scuole. “Anche se fosse necessario tenere accese le lampade per diverse ore in presenza di persone, non si verificherebbe alcun rischio per la salute, dichiara Clerici.
E’ possibile una seconda ondata “ma sarà molto ridotta perché il virus sarà indebolito. Il virus che vediamo oggi è lo stesso di febbraio e marzo, non ha subito mutazioni nel suo genoma, se non minime. Dunque, è sempre “cattivo”. La differenza è che i raggi solari lo inattivano, rendendo molto più difficile la trasmissione da un soggetto all’altro e anche la replicazione all’interno di un organismo. Sars-CoV-2, come tutti i virus, si adatterà all’uomo ma oggi, in Italia, il rallentamento dell’epidemia è dovuto principalmente a motivi ambientali” – conclude lo studioso.