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La distanza abissale tra realtà e populismo (di G. Fauceglia)

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Proverò a svolgere un ragionamento sulla vicenda Autostrade, semplificando e tenendo conto delle difficoltà tecniche che necessariamente l’argomento impone.

Il giorno stesso della tragica vicenda del Ponte Morandi a Genova (per la quale vanno accertate le responsabilità e puniti i responsabili), il Movimento 5stelle, invece di preoccuparsi del dolore delle vittime e delle urgenze della ricostruzione, individuò immediatamente nei Benetton “i colpevoli” da sottoporre al pubblico ludibrio.

Non vi era stato alcun esame della complessa documentazione relativa alla concessione della rete autostradale né un pur minimo approfondimento sulle cause del disastro e sulla loro imputabilità. Si trattava solo di utilizzare l’evento per dimostrare la (presunta) diversità del Movimento rispetto alla altre forze politiche, e il Ministro Toninelli fu l’esempio vivente di questa vera e propria furia iconoclasta.

Già i primi e più avveduti commentatori rilevarono, però, che la pretesa di commissionare la Società Autostrade per l’ Italia o, più semplicemente, di revocare la concessione, non solo si presentava in contrasto con le norme contrattuali e con l’ordinamento giuridico, ma avrebbe comportato un risarcimento per lo Stato (e, dunque, per i cittadini) di decine di miliardi di euro.

Questa circostanza, più di recente, è stata confermata da un parere dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui la valutazione dei rischi di una possibile revoca avrebbe superato di circa 22 miliardi di euro, la somma richiedibile ad Autostrade per l’indennizzo. Ciò nonostante, le trombe propagandistiche del Movimento, sorrette dal suo noto organo di stampa, continuavano a tuonare per la revoca della concessione e per l’estromissione ex lege della Famiglia Benetton dalla società.

Si trattava, con tutta evidenza, solo di propaganda, poiché – colpevolmente o inconsapevolmente – non si teneva conto delle enormi conseguenze finanziarie per le società private coinvolte nella gestione della rete, dell’azzeramento del valore delle azioni nelle mani di piccoli azionisti, dell’impatto tremendo sul mercato del lavoro con i conseguenti licenziamenti, del rilevantissimo danno che i soggetti coinvolti  nella vicenda (in primis, la Holding Atlantia) avrebbero potuto pretendere dallo Stato.

Ciò nonostante, la eterna campagna pubblicitaria non si arrestava, sino a giungere alle decisioni dei giorni scorsi, con le quali, con una prevedibile attitudine al compromesso (cosa si fa pur di mantenere il potere e non far cadere il governo !!) e una giravolta della pseudo-cultura populista, le ancelle del rigore hanno abbandonato il rigore promesso al variegato complesso sociologico che li sostiene.

Il risultato è che non vi è stata alcuna revoca della concessione, che tra l’altro avrebbe posto l’Italia fuori da ogni regola e che l’avrebbe definitivamente esclusa dagli investimenti stranieri. I Benetton sono fuori, o meglio è loro concessa una posizione di minoranza, in Autostrade per l’Italia; lo Stato, tramite Cassa Depositi e Prestiti (cioè, il risparmio degli italiani) compra i “debiti” e le quote della famiglia veneta, quest’ultima realizza in Borsa un insperato profitto e mantiene sostanzialmente il controllo di Atlantia, cioè la holding di controllo di Autostrade.

Il risultato è che è schizzato alle stelle il valore delle azioni di Autostrade e di Atlantia, con ulteriore vantaggio di chi doveva essere messo  alla porta, che ha, invece, guadagnato sul mercato quanto le parole in libertà aveva messo in discussione. In sostanza, la famiglia Benetton, che si è così tolta un problema, incasserà quanto risulterà dalla vendita delle azioni di Autostrade agli “amici” di Cassa Depositi e Prestiti, e quando Aspi, nel futuro, sarà quotata nel mercato borsistico potrà collocare ad un prezzo molto conveniente le azioni ancora in suo possesso.

Una vera e propria eterogenesi dei fini.  Continua così una storia che trova la propria origine già nella privatizzazione delle telecomunicazioni pubbliche con l’ingresso di Colaninno & C e in tante altre vicende italiane, dove con i soldi pubblici sono stati favoriti disegni finalizzati alla mera speculazione, piuttosto che alla tutela degli investimenti e dei consumatori.

Il disegno rovinoso che sottende queste opzioni è quello di utilizzare il risparmio degli italiani, che confluisce nel patrimonio di Cassa Depositi e Prestiti, per operazioni definite “ponte”, ma che in realtà preparano solo speculazioni private, come già si è visto quando è stato dilapidato l’enorme patrimonio della grande IRI. Il partito delle partecipazioni statali, così come è già avvenuto per Terna e per Eni, è così definitivamente nelle mani del Movimento, che nomina ai vertici amici e compagni di scuola, a volte più inconsapevoli di chi li ha nominati.

Giuseppe Fauceglia

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