E’ altrettanto evidente, però, che l’improvviso entusiasmo europeista che è scoppiato tra le forze politiche di maggioranza (anche nel Movimento 5stelle, che solo qualche mese addietro considerava le istituzioni europee il “male assoluto”) non solo è esagerato, ma pure estremamente pericoloso.
E’ ben noto che alla dabbenaggine politica non vi è alcun limite, così non è difficile immaginare che quelle stesse forze politiche che oggi osannano il risultato conseguito, potrebbero nel futuro scatenare le piazze contro i “burocrati dell’Europa”.
Giovanni Orsina su “La Stampa”, con il suo solito acume, ha sottolineato come le conclusioni raggiunte dal Consiglio Europeo hanno confermato che, nonostante la crisi dovuta alla pandemia, la governance dell’Unione Europea si caratterizza per una dimensione intergovernativa (ne sono il segno i vantaggi attribuiti ai cosiddetti “Paesi frugali”), piuttosto che nel perseguimento di una nuova progettualità europea.
Inoltre, pare altrettanto evidente che la ragione, e lo stesso risultato, del vertice possa rinvenirsi nell’esigenza politica di contrastare, in particolare nel nostro Paese, l’affermazione del fenomeno sovranista, con una conseguente diretta influenza sulle dinamiche elettorali di uno Stato membro.
Invero, il profilo che dovrebbe indurre ad un qualche pessimismo della “ragione” è individuato nella circostanza che i fondi europei saranno utilizzabili solo fra il 2021 e il 2023. Non solo, ma è sfuggito a più che nelle pieghe del Regolamento UE “Recovery and Resilience Facility”, segnatamente negli articoli 29 e 31, è previsto un meccanismo di “consequenzialità”, ossia i prestiti potranno venire erogati solo dopo che saranno state utilizzate le sovvenzioni o i sussidi a fondo perduto.
Il primo problema che si porrà con tutta evidenza sarà quello di predisporre un programma per la modernizzazione del Paese e delle sue infrastrutture, che escluda l’utilizzo dei fondi a fini di puro assistenzialismo o per operazioni dal sapore statalista. Su questo terreno “cade l’asino”, perché la maggioranza che sostiene il Governo non è affatto coesa, ed una delle forze politiche già spinge per soluzioni di tipo elettorale, sostanzialmente finalizzate ad elevare il già consistente impianto assistenziale.
In realtà, le vicende TAV, TAP, Fondi di coesione, ILVA, ALITALIA ed ASPI hanno fortemente minato la credibilità dell’Italia, e in un contesto europeo che non valorizza la democrazia rappresentativa, conta molto l’autorevolezza dei singoli Stati. In questo contesto è stato introdotto il “freno di emergenza” ovvero quella procedura di verifica, con modalità per fortuna non collegate all’unanimità, sull’utilizzo delle risorse erogate a fondo perduto, con la possibilità di interrompere il flusso finanziario laddove il Paese beneficiario utilizzi in modo distorto ed improprio le risorse europee.
Si tratta di un meccanismo positivo, perché sottrae all’insipienza della nostra classe politica la discrezionalità dell’impiego delle sovvenzioni, introducendo vere e proprie “sovvenzioni di scopo”, con la previsione espressa di utilizzare le stesse per una politica economica connessa agli investimenti sulla ricerca e sull’innovazione, per migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione e la qualità dei servizi pubblici, per superare le restrizioni sulla concorrenza, per ridurre il peso della spesa pubblica (anche quella pensionistica), per migliorare il sistema obsoleto ed inefficiente della giustizia civile, per aumentare l’efficienza della lotta alla corruzione e all’evasione fiscale. Se tanto è previsto per realizzare questi obiettivi, tutti necessari per la crescita, non credo possa ritenersi fondata l’obiezione di una perdita di sovranità del Paese.
Su questo tema, però, si aprirà lo scontro futuro tra le forze politiche – anche a seguito dell’implosione di Forza Italia, che ormai ogni giorno perde pezzi importanti (tra gli ultimi, personaggi di spicco come Quagliarella e Romano) – che già si è immediatamente concretizzato nell’utilizzo delle risorse del MES per migliorare il nostro sistema sanitario, anche in vista del previsto “ritorno” della pandemia in autunno.
Insomma, la realtà induce al pessimismo, anche se il disegno pervicacemente perseguito di non ricorrere alle urne potrebbe indurre anche i più riottosi a soluzioni di possibile compromesso.
Giuseppe Fauceglia