Con la panchina siciliana siamo giunti alla quindicesima partecipazione al campionato di B per un tecnico che, in carriera, ha sperimentato tutti i tornei del calcio italiano: dalla Terza Categoria fino alla A. Una toccata e fuga – quest’ultima – vissuta con il Carpi, portato nel 2015 tra le grandi d’Italia in maniera totalmente inaspettata, con un calcio intenso e verticale, pronto a lottare fino all’ultimo istante come a ribaltare il fronte del gioco in velocità.
Era stata anche la rivincita personale per un allenatore la cui storia aveva rischiato di interrompersi al raggiungimento del primo obiettivo importante. Accade nel 2004, Castori si è costruito prima una solida fama tra i Dilettanti, quindi in Serie C. Nel 1995 riconduce in C2 il Tolentino, dopo mezzo secolo di calcio fatto solo di Marche. È la squadra del luogo in cui vive, è la squadra che scende in campo con una insolita maglia color cremisi: un unicum.
Arrivano quindi quelle con il Lanciano, tra 1999 e 2001, che convincono il Cesena a chiamarlo nel 2003. Il club da tre stagioni è rotolato in C, dopo essere stato a lungo un simbolo del calcio di provincia, per serietà della società e per continuità di risultati, lanciando giocatori come allenatori (su tutti, Arrigo Sacchi campione Primavera 1982). Castori arriva e, come sovente gli capita, porta a compimento la missione al primo colpo.
Solo che, questa volta, alla cronaca sportiva si affianca quella nera perché, il 20 giugno 2004, la finale playoff con il Lumezzane passa alla storia per la megarissa che si scatena nei tempi supplementari sul campo dei bresciani. I padroni di casa pareggiano, qualcuno dice una parola di troppo passando davanti alla panchina ospite, Castori si catapulta in campo seguito dai suoi e nel parapiglia, oltre a incassare botte, sferra un pugno a Pietro Strada.
È, ovviamente, il gesto iconico della giornata, quella più diffuso dai media. Il Cesena va in B, il tecnico finisce sotto processo, sportivo e penale: il primo si conclude con una squalifica di tre anni, ridotta a due; il secondo con un’assoluzione dopo che Strada ritira la denuncia una volta ottenuto un risarcimento di 25.000 euro. Accade il 27 gennaio 2011, sei anni e mezzo dopo i fatti, a raccontare la velocità della giustizia italiana.
“Ho sbagliato, ma non ho ucciso nessuno”, si difende Castori, che per ventiquattro mesi allena la squadra per poi seguirla da un box in tribuna nei giorni delle partite. Nonostante il disagio personale, nel 2006 sfiora ai playoff quella Serie A che avrebbe quindi centrato per la prima volta a Carpi, città della sua rinascita. Rinascita perché la possibilità in Emilia arriva dopo una lunga serie di esoneri: da Salerno a Piacenza, da Ascoli (dove aveva ottenuto una salvezza) a Varese, fino ai neanche due mesi di Reggio Calabria che, nel 2013-14, sembrano scrivere la parola fine di un film che invece riprende a scorrere a Carpi.
Un posto dove Castori sarebbe tornato volentieri fino al 2018-19, come volentieri torna a Cesena nel 2017. Dovunque gli vogliono bene, instaurando un feeling profondo con i tifosi e i giocatori. È un uomo diretto, fedele nelle amicizie, serio negli atteggiamenti: “Bisogna essere convinti per essere convincenti: nei rapporti umani non si bluffa, non si trasmettono cose che non si provano”.
È lo slogan con cui si presenta a Trapani il 19 dicembre, dove lo chiamano al posto di Francesco Baldini, che era stato pescato dalla Juventus Primavera per guidare una neopromossa in B. Castori la trova al penultimo posto. Dopo il lock down trova uno sprint incredibile ma i due punti di penalizzazione saranno decisivi per mancare una salvezza meritatissima.