Pastiche giallo estivo (di Cosimo Risi)

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Dal diario di John Watson. Sherlock Holmes si trova sulla scena del delitto in Sloane Square, Londra.

La donna è riversa con la schiena sul pavimento. La gonna sollevata a mostrare le calze e un lembo di cosce. La testa è riversa sul lato e mostra i segni di un colpo profondo. Materia cerebrale e sangue a sporcare il tappeto. La patologa nota che le calze si arrestano all’altezza del pube con la peluria che in origine doveva essere bionda e ora è macchiata di sangue e liquame.

L’assassino deve averla colpita alla testa e  alla zona pelvica.  Scarpetta spiega che la vittima è morta a causa del colpo alla tempia, che il sangue e il liquame fra le gambe sono dovuti alla lacerazione  prodotta da un oggetto che le è stato infilato dentro a forza.

A sfondarle il cranio è la statuetta di una ballerina col tutù, pare opera di Edgar  Degas. Deve essere di marmo, me ne accorgo dal peso mentre la sollevo da terra proteggendo la mano col fazzoletto. Accanto un fallo di gomma appeso ad una cintura di cuoio: un godemichet alla moda di Francia.

– Un omicidio rituale, il gesto di un maniaco sessuale, –  azzardo nei confronti di Holmes, che resta indifferente alle mie supposizioni e continua a guardarsi intorno.

Il pot-pourri sul tavolino da tè. La bottiglia dell’assenzio e due bicchierini che recano traccia del liquore verdastro. Holmes si avvicina ad una parete. Un quadro  rappresenta le ballerine del café chantant, le calze nere in bella mostra, reca la firma di Henri de Toulouse – Lautrec. La stanza ha le pareti damascate, il profumo è intenso, le decorazioni sono ammiccanti. Tutto lascia pensare che si tratti di un boudoir. La patologa aggiunge che la donna doveva essere giovane e in buona forma.

L’Ispettore Cramer aspetta un cenno da Holmes. Non ricevendo parola, fa segno ai necrofori di avvolgere il cadavere nel telo per portarlo all’obitorio. Scarpetta raccoglie gli strumenti, infila il mantello e, senza salutare l’imbronciato Holmes, se ne va.

Solo a questo punto Holmes si lascia andare su una poltroncina rivestita dello stesso tessuto delle pareti e comincia a muovere le labbra come se volesse parlare ma restando zitto. L’esercizio labiale può avere durata indefinita. Cramer e Stebbins si irritano sempre davanti alla manovra, la ritengono una messa in scena per prendere tempo. Sanno però che a interromperlo, Holmes cadrà in un silenzio tombale e rifiuterà qualsiasi collaborazione.

Holmes si alza dalla sedia e chiede a Stebbins di riaccompagnarci a casa.

  • Devo riflettere, vi darò il mio parere appena starò comodo.

Cramer è già rosso per il calore della stanza opposto al freddo esterno. Le vene del collo si gonfiano, il colorito diventa di fuoco, sta per esplodere in qualche  minaccia tipo “vi porto in centrale, Holmes, a chiarivi le idee e sciogliere la lingua”. La lotta interiore fra la rabbia e la necessità di reprimerla gli fa uscire una specie di singulto. Inghiotte la saliva, tossisce nervoso. Con un cenno a Stebbins gli ordina di uscire con noi. Cramer si arrende almeno per ora. Presto lo vedremo alla nostra porta.

La nebbia avvolge il rientro. Davanti a Baker Street la carrozza si ferma con uno strappo. Stavolta Stebbins rimane seduto a cassetta. Holmes si dirige difilato alla poltrona. Lascia cadere il mantello a terra mentre tiene sul capo il berretto che gli scivola sulla fronte. Afferra la pipa e la riaccende con sbuffi avidi finché si rianima e il fumo esce dal bocchino. L’odore di oppio si diffonde sulle volute del fumo azzurrognolo. La testa reclina all’indietro, il cappello scivola sulla fronte, Holmes parte verso il sogno.

Parte terza – segue

di Cosimo Risi

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