Naturalmente non tutti si trovano allo stesso punto dello sviluppo, tenendo presente che soltanto in 33 sono stati già testati sull’uomo, mentre i restanti 143 sono ancora nella pre-clinica, vengono cioè sperimentati su colture di cellule in provetta (in vitro) e/o su modelli animali. Dei 33 in sperimentazione clinica, meno di una decina ha raggiunto la cruciale Fase 3, quella che coinvolge migliaia di persone e che determina l’effettiva efficacia di un vaccino, trattandosi dell’ultimo passo prima della richiesta di approvazione alle autorità competenti e dunque dell’immissione in commercio.
È dunque in atto una vera e propria corsa al vaccino a livello globale, che coinvolge laboratori, università, società di biotecnologie, case farmaceutiche e centri di ricerca dislocati ai quattro angoli del mondo. In alcuni casi gli scienziati sono sottoposti a una forte pressione da parte delle istituzioni nazionali, per interessi politici, economici o semplicemente di “primato”.
Basti pensare a ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, i cui cittadini il 3 novembre saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo presidente. L’attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, ha annunciato che gli USA potrebbero avere un vaccino prima di tale data; si tratterebbe di un risultato eccezionale – considerando che il patogeno è in circolazione da meno di un anno – che darebbe una spinta non indifferente alla sua campagna elettorale contro il democratico Joe Biden, Anche Stephen Hahn, a capo della Food&Drug Administration (FDA), l’agenzia federale che si occupa della regolamentazione di farmaci, alimenti e terapie sperimentali, ha dichiarato al Financial Times che ci potrebbe essere un’approvazione eccezionale – attraverso un’autorizzazione all’uso di emergenza (EUA) – entro tale data, qualora i dati medici e scientifici fossero soddisfacenti. Ma quanto soddisfacenti devono essere questi dati?
Il punto è proprio questo: per ragioni di vario interesse, potrebbe essere immesso sul mercato un primo vaccino non esattamente efficace, dando per buoni risultati che in effetti non lo sono. Ciò potrebbe portare all’immissione di altre preparazioni potenzialmente peggiori, poiché non avrebbero la necessità di superare il “capofila”, già al di là delle maglie burocratiche.
L’immissione di un vaccino inefficace è uno dei peggiori incubi per gli scienziati, poiché si teme che possa addirittura peggiorare la pandemia in corso. Come sottolineato al Guardian dal professor Sir Richard Peto dell’Università di Oxford, c’è il rischio che il primo vaccino anti coronavirus possa essere acquistato e utilizzato ovunque pur avendo una bassa efficacia.
“Penso che sia in atto una grande corsa, una corsa un po’ nazionalista e anche una corsa un po’ capitalista, per essere assolutamente i primi a registrare un vaccino, e in realtà ciò renderà più difficile valutare altri vaccini”, ha detto il professor Peto, che è anche consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Abbiamo bisogno di un vaccino che funzioni e ne abbiamo bisogno presto, ma abbiamo davvero bisogno di prove abbastanza forti che ne dimostrino l’efficacia”.
Come affermato in uno studio pubblicato su The Lancet dal Solidarity Vaccines Trial Expert Group dell’OMS, gruppo di scienziati che monitora e confronta i vari vaccini candidati anti COVID, diffondere un vaccino scadente sarebbe peggio di non avere alcun vaccino, per diverse ragioni. Innanzitutto, le persone vaccinate inizierebbero a credere di essere immuni alla COVID-19, l’infezione causata dal patogeno, allontanandosi così dal rispetto delle misure di sicurezza standard (distanziamento sociale, uso della mascherina e igiene delle mani) col rischio di catalizzare la circolazione del virus, nel caso in cui fossero positive. “L’implementazione di un vaccino debolmente efficace potrebbe effettivamente peggiorare la pandemia di COVID-19 qualora le autorità presumano erroneamente che esso provochi una sostanziale riduzione del rischio, o se gli individui vaccinati inizino a credere erroneamente di essere immuni, riducendo così l’attuazione o il rispetto di altre misure di controllo anti COVID”, hanno scritto sull’autorevole rivista scientifica.
Gli scienziati sottolineano che nessun vaccino con un’efficacia inferiore al 30 percento dovrebbe essere approvato, raccomandando che la preparazione raggiunga almeno il 50 percento. Poiché tuttavia viene richiesta una “precisione” del 95 percento, per mero calcolo si rischia comunque di avere un vaccino efficace solo al 30 percento. L’FDA ha annunciato che si atterrà a questa soglia, ma come indicato dal Guardian, c’è il rischio che le pressioni politiche possano spingere ad autorizzare una preparazione anche al di sotto di questa percentuale. Senza contare che determinare la durata della protezione dovrebbe essere uno dei fattori di maggiori rilevanza da tenere in considerazione, ma sul quale si potrebbe “soprassedere” qualora il vaccino dimostri una buona efficacia e sicurezza dopo la somministrazione. Peter Marks, a capo della divisione della FDA che sovrintende all’approvazione dei vaccini, ha annunciato che si dimetterà qualora l’amministrazione Trump dovesse promuovere un vaccino non chiaramente sicuro ed efficace sulla scorta dei dati scientifici.
Tralasciando il vaccino “Sputnik V” del Gamaleya Research Institute di Mosca e il vaccino cinese Ad5-nCoV della CanSino Biological Inc., già a approvati per l’uso – con alcuni distinguo – dai ministeri della salute nazionali ma aspramente criticati dalla comunità scientifica internazionale poiché non hanno completato il normale ciclo sperimentale, al momento la preparazione considerata più promettente e più vicina al traguardo è il ChAdOx1 (o AZD1222) dello Jenner Institute dell’Università di Oxford, sviluppato in collaborazione con l’azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia. Ad oggi non è dato sapere quale sia l’effettiva efficacia, poiché deve appunto completare l’iter sperimentale e i dati devono essere validati e approvati.
Lo stesso discorso può essere fatto per tutti gli altri vaccini candidati, compreso quello italiano, che pur avendo ottenuto risultati promettenti nella fase preclinica e in alcuni casi hanno mostrato formazione di cellule T e risposta anticorpale nei pazienti, per sapere se davvero proteggeranno le persone (in sicurezza) è necessario attendere la fine dell’iter sperimentale. Al momento, sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell’Università Johns Hopkins, dall’inizio della pandemia si contano oltre 25,2 milioni di infezioni e quasi 850mila morti; il virus continua a circolare e a contagiare un numero significativo di persone, e il vaccino è considerato l’arma migliore per sconfiggerlo. La speranza è che i giochi di potere non influenzino in alcun modo la ricerca, e che la preparazione che arriverà per prima – approvata dai principali enti sanitari – sarà davvero sicura ed efficace come doveroso che sia.
Fonte FanPage.it