Fra questi ultimi Jared Kushner, Consigliere speciale del Presidente, che di Donald Trump è anche il genero avendo sposato la prediletta figlia Ivanka. Una missione fra il familiare e il protocollare, che si distingue quando il capo della delegazione israeliana, in testa la kippah, pronuncia il discorso di saluto in arabo e ebraico.
Abraham Yehoshua, lo scrittore israeliano delle molte speranze deluse, sostiene che esistono i paesi arabi e non il mondo arabo in quanto tale, ciascuno ha il suo approccio alla questione mediorientale. Questo emerge dall’accordo fra Israele e Emirati Arabi Uniti.
Non si tratta di un accordo di pace in senso stretto. A differenza degli accordi che nel XX secolo Israele concluse con Egitto e Giordania, questo non chiude una stagione di guerra fra le parti. Si tratta per la precisione di un accordo di mutuo riconoscimento, che porta allo scambio degli ambasciatori ed al rafforzamento dei legami commerciali già vigenti. Negli auspici del Principe ereditario Mohammad bin Zayed, dovrebbe facilitare l’acquisto degli aerei F35, il più moderno sistema d’arma al mondo che solo Israele è ammesso a detenere nella regione.
Kushner ha proseguito il giro della Penisola con soste a Doha e Riad. Il Qatar è ancora oggetto di restrizioni da parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo per le posizioni irrituali nei confronti dell’Iran. L’Emirato è però corteggiato da Israele perché continui a finanziare la Striscia di Gaza, altrimenti destinata al crollo economico e sociale.
L’Arabia Saudita ha il Principe ereditario in difficoltà. Mohammad bin Salman è indagato negli Stati Uniti per presunte responsabilità nell’affare Khashoggi e pertanto non è ammesso a Washington. Il Congresso aveva addirittura bloccato la vendita di armi al Regno, ma il Presidente ha superato il divieto d’imperio. Riammettere l’Arabia Saudita nel circuito dei negoziati di pace avrebbe un alto significato.
Come gesto di buona volontà, l’autorità aerea del Regno autorizza il sorvolo dello spazio aereo a tutti i velivoli commerciali diretti dal Medio Oriente in Asia. I voli El Al possono raggiungere l’India con notevole risparmio di tempo e carburante. Non è ancora il mutuo riconoscimento fra Israele e Arabia Saudita, segna una tendenza verso la distensione dei rapporti.
Dietro il movimento diplomatico di tarda estate vi sono cause immediate e profonde. Le prime riguardano l’ambizione di Trump, non diversa da quella dei suoi predecessori, di consegnare alla storia la pace in Medio Oriente. Il che gli darebbe argomenti per la rielezione a novembre e incoraggerebbe la giuria di Oslo a considerarlo per il Nobel per la pace. Da condividere semmai con Benjamin Netanyahu e Mohammad bin Zayed.
La ragione profonda è che si sta saldando il fronte degli avversari dell’Iran a prescindere dalle rispettive caratteristiche. Occorre poi rintuzzare la strategia neo-ottomana della Turchia. L’espansione di Ankara verso il Mediterraneo meridionale (Libia) e il Medio Oriente (Siria, Iraq) è giudicata preoccupante.
Gli alleati di comodo attenuano le dispute religiose e politiche a favore del comune interesse a contenere le intrusioni degli estranei. Estranei non sono gli Stati Uniti. Brutto fare tappezzeria mentre la Russia balla da sola. Con questo giro di danza gli Stati Uniti tornano in pedana.
L’attenzione va al Medio Oriente persino quando si tratta di Balcani. Alla Casa Bianca, sotto lo sguardo benevolo di Trump, Serbia e Kosovo firmano un accordo di cooperazione e s’impegnano ad aprire le sedi diplomatiche a Gerusalemme. Sono i primi paesi europei a farlo.
di Cosimo Risi
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