La letteratura scientifica parla chiaro: anche il virus influenzale può manifestarsi con tutta una serie di sintomi che sono la febbre, la tosse, cefalea, sintomatologia gastrointestinale, mal di gola, dispnea (difficoltà respiratoria), rinorrea (scolo di muco dal naso) e congestione nasale che si possono presentare singolarmente o l’uno associato all’altro”.
Ecco perché, soprattutto nei bambini che il più delle volte sono paucisintomatici, cioè con sintomatologia molto lieve (“solo nel 50% dei casi o poco più è presente la febbre, giudicato come equivalente a una malattia in corso”), diventa difficile, anzi “impossibile”, ci dice il professore, “distinguere quale tipo di infezione, soprattutto nella stagione autunnale e invernale, ha causato questi sintomi. Si rende perciò necessario il tampone”.
Il percorso da seguire in caso di comparsa di sintomi nei bambini
Il tema è particolarmente attuale. Con la riapertura delle scuole e l’autunno alle porte, i genitori si chiedono quale sia l’iter da seguire in caso di comparsa di sintomi nei propri bambini. Abbiamo provato a fare una simulazione con il Professor Biasci per capire insieme il percorso. “La prima cosa da fare in caso di comparsa di sintomi influenzali è quella di rivolgersi al pediatra o al medico di base che effettua immediatamente un triage telefonico e poi una televisita sul bambino”, ci spiega il professore.
”Dopo la rilevazione dei sintomi, noi dobbiamo chiedere “tempestivamente”, che vuol dire immediatamente, il test diagnostico che conosciamo e cioè il tampone. Ma questo non lo diciamo noi: seguiamo le indicazioni di un documento ufficiale redatto dall’Istituto Superiore di Sanità, dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Istruzione, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni e allegato il 7 di settembre al Dpcm che è uscito quel giorno e ha valore come linea guida operativa”.
E qui c’è il primo scoglio. E’ cronaca che molti genitori giudichino “terroristi” i medici che richiedono tamponi per i propri figli alla comparsa di anche solo uno dei sintomi. “I pediatri e i medici DEVONO chiedere il test diagnostico”, specifica il presidente Fimp. “Non solo per la salute del bambino interessato, ma per tutta la comunità, perché dobbiamo pensare che il tampone e l’individuazione del Covid non serve solo per il soggetto, ma anche e soprattutto per fare sorveglianza sanitaria e impedire la diffusione dell’infezione”.
Tamponi tempestivi, ma ritardi nei risultati
Ricapitolando: sintomi, pediatra, tampone, risultato. Sembra facile, no? Ma è qui che arriva il secondo ostacolo. “Mio figlio da 10 giorni a casa per un raffreddore. Senza tampone, niente scuola”, lamenta una madre. E’ solo una delle tante storie di “quarantene” non “giustificate” da risultati certi che stanno emergendo in questi giorni e che figurano accanto a interventi tempestivi.
“Vuole sapere come sia possibile?”, ci dice il Professore.“Da una breve indagine fatta in tutte le regioni dalla Fimp abbiamo avuto questa risposta: dal momento in cui il pediatra invia la richiesta del test diagnostico al momento in cui riceve il referto del test passano mediamente 4-5 giorni.
E questo è inammissibile”. Per quanto riguarda la signora, “bisogna vedere quando il pediatra ha chiesto il tampone: se l’ha fatto tempestivamente ok, se magari le ha dato dei consigli e ha perso le prime 48 ore, è evidente che ce le ritroviamo nei tempi di diagnosi e di esclusione da Covid. Ma una domanda adesso gliela rivolgo io”. Prego.
“Se sapevamo che sarebbe successo, se sapevamo che sarebbe arrivato il 15 settembre, se abbiamo sistemato gli ospedali, raddoppiato le terapie intensive, creato laboratori Covid ovunque, se abbiamo detto per tutta la fase 2 che bisognava investire sul territorio, perché adesso ci troviamo difronte al fatto che la media per avere i risultati del tampone sono 4-5 giorni, quando se lei si presenta in un Pronto Soccorso con la stessa sintomatologia ha il risultato del tampone in 3-4 ore? Perché le regioni non hanno investito sul territorio per davvero e non a parole?”.
Una domanda che si stanno cominciando a chiedere in molti. “Lo credo bene”, aggiunge, “fossi un genitore penserei: ma scusi io mi sono rivolto al pediatra, mi ha richiesto il tampone, nelle modalità previste. Perché se lui chiede il tampone alle 9 la mattina non mi chiamano nel pomeriggio per andare a farlo? Perché si allungano così i tempi quando invece potremmo avere risulti in 24 ore e gestire tempestivamente la situazione?”.
I test rapidi di cui si parla in questi giorni, risolverebbero di molto il problema, ma ci spiega ancora Biasci “non sono ancora stati validati dall’Istituto Superiore di Sanità, li stanno valutando. Quando arriveranno, faciliteranno la situazione perché offrono una risposta in 15 minuti e perché la semplicità di effettuazione permette di fare più test a parità di risorse impiegate”.
Paucisintomaticità e aumento dei casi nei bambini
Da sempre sappiamo che i bambini sono tendenzialmente paucisintomatici: sono pochissimi quelli sotto i 12 anni che presentano complicanze importanti dal punto di vista clinico in caso di Covid. “Da questo punto di vista non è cambiato niente”, dice il Professore. “Quello che sta cambiando e che stiamo intuendo dai primi dati è il fatto che la numerosità dei tamponi che risultano positivi nei bambini sta aumentando. Non siamo sorpresi: la fase 1 e 2 si sono svolte in primavera e estate e i bambini erano in massimo lockdown (quello vero l’hanno fatto solo loro che a scuole chiuse non avevano ragione per uscire di casa: no scuola, no palestra, no lavoro, no spesa).
Ora le cose stanno cambiando: “La stagione autunnale e invernale, le scuole aperte: quello che ci aspettiamo è massima attenzione nell’età pediatrica, finora messa un po’ nel ‘cantino’ perché eravamo giustamente attenti agli anziani”.
Il vaccino antinfluenzale sicuramente può aiutare nell’arginare la diffusione del virus stagionale, soprattutto in una situazione di emergenza Covid: “E’ consigliato per le categorie a rischio da sempre e anche per i bambini. Quest’anno c’è una sottolineatura in più perché è stata individuata la classe 6 mesi-6 anni che è quella più colpita da dati di ministero: ogni anno i bambini di quest’età si ammalano circa 8 volte i più degli anziani”.
Perciò il consiglio è di prevenire ed evitare quello che si può evitare. “Anche perché”, spiega ancora il Presidente Fimp, “dopo un’infezione da virus influenzale, residua anche una certa diminuita efficienza dell’apparato immunitario per qualche settimana: se un bambino si deve infettare da Covid è bene che succeda nelle migliore condizioni possibili. Quindi bisogna vaccinarsi”.
Fonte Huffingtonpost