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Il nuovo patto europeo per le migrazioni e l’asilo (di Cosimo Risi)

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Il coraggio non le manca. Non bastasse la crisi da pandemia, Ursula von der Leyen affronta l’altro caso che mette in tensione i rapporti fra gli stati membri: le migrazioni di massa che dai versanti orientale e meridionale si riversano verso il territorio europeo.

La crisi migratoria, o l’invasione come taluni la chiamano a connotarne il tratto minaccioso,   conobbe il picco nel biennio 2015 – 16 in connessione con la guerra civile in Siria. I flussi si muovevano via terra verso la Grecia e via mare verso l’Italia: le terre di accesso all’Europa.

Imparammo a conoscere la differenza fra migranti politici, e dunque suscettibili di essere accolti in virtù delle pertinenti norme internazionali, e migranti economici, sommariamente considerati illegali e candidati al respingimento.

La differenza  è sottile e richiede un’accurata analisi caso per caso, il che complica enormemente il lavoro delle autorità di frontiera. Ora che il gruppo “politico” si è ridotto attorno al 20% del totale, l’economico continua sulla scia delle buone condizioni ambientali. Il tema delle migrazioni torna così prioritario nell’agenda dell’Unione. Bene fa la Commissione ad affrontarlo in maniera organica, anche se con qualche esitazione di troppo a giudicare dagli interessi italiani.

Si supera il regime volontaristico, voluto da Juncker e mai di fatto applicato, circa la redistribuzione per quote. L’onere a carico dello stato membro di primo arrivo si è dimostrato eccessivo, la solidarietà degli altri latitava fino al rifiuto netto di accogliere da parte di alcuni. Una situazione alla fine insopportabile  e tale da alimentare il messaggio sovranista di soluzioni facili ad un problema difficile: blocchi navali, deportazioni di massa, e via con un armamentario militaresco poco consono alla tradizione europea.

La Presidente riconosce che il fenomeno migratorio è di lungo periodo. Risponde alla disparità demografica ed economica fra l’Europa ed i vicini meridionali e orientali. E’ l’effetto collaterale dell’apertura dell’Unione, paradossalmente vittima dei suoi stessi principi. Respinge gli interventi energici, tende a premiare la risposta umanitaria rispetto alla securitaria. L’Unione si ritrova nel dilemma fra l’affermazione dei valori fondanti e la tutela degli interessi dei cittadini. Ecco perché la soluzione è complessa.

La proposta della Commissione mira a superare il regime ex Dublino. Che è grossolanamente: il paese di approdo se la cavi da solo o sennò peggio per lui. Il sistema di redistribuzione conosce vincoli e tempi. E così il rimpatrio di coloro che non hanno titolo all’accoglienza. Il profilo è delicato. Gli stati membri possono essere in qualche misura costretti a collaborare, mediante un sistema di premi e sanzioni. La stessa pressione non può essere esercitata sui paesi terzi. Con loro occorre negoziare il meccanismo dei rimpatri affinché lo accettino nei modi più consoni all’interesse europeo. E soprattutto collaborino a essiccare i flussi all’origine impedendo le partenze.

Nel 2016 la Turchia beneficiò  dell’intesa che le consegnava miliardi di euro a patto che trattenesse i migranti. Ora che la sua politica si pone in contrasto con l’Unione e la NATO, si vedano le divergenze con Cipro e Grecia sulle acque marine, l’intesa mostra la corda.  Ankara manovra la chiave di accesso alla Grecia, la frontiera comune non è più sbarrata.

Sul fronte meridionale, la crisi in Libia e l’incertezza in Tunisia sgombrano la pista italiana. Lampedusa è allo stremo, e così altri porti.

Il dibattito a livello europeo si trasferisce dalla Commissione al Consiglio per approdare infine sul tavolo dei Capi di Stato o di Governo. La partita è troppo grossa per non richiedere la loro suprema mediazione.

di Cosimo Risi

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