Con il nuovo codice, previo ok del prefetto, si potranno infatti mettere autovelox per ridurre la velocità anche nelle strade urbane di quartiere e locali, mentre oggi sono previsti solo per le strade a scorrimento veloce.
Sì, ok. Ma come è possibile difendersi dalle multe? Cerchiamo di spiegarvelo in questo articolo. Il verbale di contravvenzione per eccesso di velocità rilevato con l’autovelox è un fatto che non fa dormire sonni tranquilli a milioni di italiani. Ad aiutare gli automobilisti, arrivano però tre sentenze della Corte di Cassazione, depositate lo scorso 18 giugno. Questi provvedimenti esaminano i problemi più frequenti e stabiliscono i criteri per valutare se l’autovelox è a norma oppure no dal punto di vista tecnico. E indicano se il verbale di accertamento della violazione è stato redatto correttamente con tutte le indicazioni necessarie.
L’omologazione
È bene sapere che l’autovelox deve essere omologato e tarato periodicamente. Se queste operazioni vengono contestate dall’automobilista, sta al comune provare il corretto funzionamento dell’impianto. L’obbligo di taratura periodica non può essere surrogato dalla generica dicitura, riportata nel verbale, secondo cui l’apparecchiatura di rilevazione è stata “debitamente omologata e revisionata”. Ma deve indicare le precise modalità di effettuazione di queste verifiche. Secondo i magistrati, infatti, questa non soddisfa le esigenze di affidabilità dell’omologazione e della taratura.
I giudici richiamano la pronuncia della Corte Costituzionale che impone di effettuare queste verifiche periodiche di funzionalità degli apparati di misurazione di velocità tra i quali rientrano appunto gli autovelox. C’è da sapere che in caso di contestazioni circa l’affidabilità dell’apparecchio, il magistrato è tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate, così scendendo nel concreto merito delle operazioni svolte dall’amministrazione comunale e dai suoi tecnici incaricati.
Cosa accade in tribunale
La Cassazione ha approfondito ulteriormente questo tema e ha precisato che non basta neppure produrre in giudizio la documentazione attestante l’omologazione e la corretta installazione dell’apparecchio, perché bisogna provare anche il suo “perdurante funzionamento”. Ciò significa che il comune deve dimostrare oltre all’omologazione e all’installazione, anche l’effettuazione delle periodiche verifiche volte ad assicurare la persistente funzionalità dello strumento rilevatore. In caso contrario la multa non sarà valida.
C’è anche un’altra pronuncia che può comportare l’annullamento del verbale. Al centro dei riflettori c’è quello che in gergo prende il nome di “segnale di preavviso”. Per essere chiari, è quel cartello che preannuncia agli automobilisti il posizionamento dell’apparecchio autovelox per il rilevamento della velocità. In questi casi non c’è una distanza minima obbligatoria da rispettare. Anche se, secondo il codice della strada, le postazioni di controllo sulla rete stradale devono essere preventivamente segnalate.
Le norme in materia si limitano a stabilire un criterio di distanza adeguata tra il segnale e l’apparecchiatura autovelox, che è compresa tra un minimo di 80 metri e un massimo di 250 metri.
La validità della multa è subordinata alla presegnalazione, ma per i giudici se il trasgressore intende contestare la presenza del segnale attestata nel verbale di contravvenzione, dovrà proporre querela di falso contro questa attestazione contenuta nell’atto, perché è una circostanza di fatto ed oggettiva, che ricade sotto la diretta percezione dei verbalizzanti. Così la menzione della presenza del cartello, contenuta nel verbale, si presume vera. Per contestarne la veridicità non è sufficiente farlo nel giudizio di opposizione alla sanzione, ma occorre impugnarla separatamente.
QUESTI NON STANNO BENE……….