Una prima importante riflessione che vorrei sviluppare riguarda il fenomeno che l’Enciclica definisce come “i movimenti digitali di odio e distruzione che costituiscono mere associazioni contro un nemico”, con la conseguenza che “i media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche”.
I rapporti digitali non solo “dispensano dalla fatica di trovare un’amicizia”, ma soprattutto distruggono quello scambio dialettico vero, anche tra diverse opinioni, che rappresenta l’elemento centrale di ogni elemento di socialità e di crescita della “persona”, in tutte le sue manifestazioni, ivi compresa quella politica.
Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l’incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, creando “meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico”.
A queste lapidarie e condivise considerazioni, vorrei aggiungere che il percorso lungo e faticoso, che, fino agli anni Novanta dello scorso secolo, caratterizzava la formazione del “politico”, è stato sostituito da tempo, ed in particolare in questo preciso momento storico, dalle scelte compiute da poche persone in qualche piattaforma sottratta ad ogni controllo oppure da quelle dei leader che seguono criteri di fedeltà assoluta – che sconfina nella stupidità istituzionale – piuttosto che di competenza delle persone.
Alla riflessione sui “problemi della società” si è sostituita la violenza verbale, che circola su internet e negli ambiti di scambi digitali, e su questa si costruisce la fortuna politica di soggetti che non hanno il retroterra culturale necessario per il governo della cosa pubblica.
Manca, cioè, quella vera saggezza che “presuppone l’indefettibile incontro con la realtà”, che viene così modificata e strumentalizzata in un meccanismo di selezione, che attinge anche le persone con le quali poi si decide di “condividere il mondo”.
In sostanza, non vi è più ascolto, pensiero solido, tutto trasformando in messaggi rapidi ed impazienti, che finiscono per mettere in discussione la struttura basilare della società
A queste riflessioni è strettamente collegata “la necessità che la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettati del paradigma efficientista della tecnocrazia”.
In questa prospettiva, che ripete lo storico insegnamento della Chiesa, si iscrive “l’attività dell’amore politico”, che si traduce in quello che Papa Francesco definisce un amore “imperato”, che si aggiunge all’amore “elicito” ovvero gli atti che “procedono direttamente dalla virtù della carità, diretti a persone e a popoli”. L’ amore “imperato” (o politico) deve spingere “a creare istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strumenti più solidali”.
Ne consegue che resta “un atto di carità altrettanto indispensabile l’impegno finalizzato a organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria”, ciò manifestando “una forma altissima di carità che nobilita l’azione politica”.
Agli insegnamenti sull’ Enciclica vorrei aggiungere le riflessioni che mi sono state ispirate dalla lettura di un bel libro di Julian Carròn, “Il brillìo degli occhi. Che cosa ci strappa dal nulla ?” (che un amico caro mi ha di recente donato), qui la riflessione si innesta sulla violenza che il nichilismo – il quale esclude la speranza e finisce per distruggere il mondo, anziché aiutarlo a comprendere e a crescere – manifesta come “quel senso di vuoto a perdere”, che attinge non solo l’animo umano, ma, direi, le stesse scelte politiche.
Si tratta, anche in questo caso, “della mancanza di coscienza del reale e la sfiducia sulla possibilità di significato e di compimento dell’esistenza, che si intrecciano e si sostengono reciprocamente in quel nichilismo che tutti ci riguarda”.
Mi chiedo se su queste fondamenta, i cui risultati debbono intrecciarsi nella sintesi necessaria con altre correnti di pensiero, possa oggi costruirsi una nuova realtà della politica, che cammina sulle gambe di uomini “liberi e forti” (per attualizzare l’insegnamento sturziano), e se questo non possa essere l’antidoto al nichilismo della politica, che oggi caratterizza anche le nostre istituzioni e che disegna il “buio” dell’attuale realtà.
Giuseppe Fauceglia