Il mondo inorridisce per il misfatto e solidarizza con la Francia. Non tutto però, all’appello manca il messaggio di Ankara. Al contrario, il Presidente turco si dice deluso, se non peggio, per la politica del collega francese, responsabile sostanzialmente di occuparsi dello spettro del separatismo islamista e non della salute del suo popolo. Erdogan sentenzia che nel 2022 Macron non sarà rieletto, et pour cause.
Il Quai d’Orsay richiama l’Ambasciatore da Ankara per consultazioni. Gesto inusuale fra membri NATO ma già adoperato da quel Ministero con l’Italia quando scoppiò “l’affaire gilets jaunes”.
E’ un leader permaloso, Emmanuel Macron? O è un uomo a tutto tondo, un hombre vertical, come Re Juan Carlos disse di Sandro Pertini, che difende con l’onore della Francia i principi europei di democrazia e soprattutto libertà?
La domanda non è retorica, chiama in causa il comportamento esitante dei Ventisette (si vedano le conclusioni dei Consigli europei) riguardo alle mire neo-ottomane della Turchia. E cioè: l’intervento in Libia fino a prendere il controllo della Guardia costiera, quella che l’Italia sostiene perché ci protegga dagli sbarchi; l’avvio delle prospezioni nelle acque rivendicate da Cipro e Grecia; i rapporti quanto meno ambigui con ISIS – DAESH; l’attacco ai Curdi della campagna contro ISIS – DAESH; la tattica del rubinetto circa gli immigrati che accoglie, a pagamento, sul proprio territorio e che periodicamente minaccia di liberare verso il confine dell’Unione.
Nel Mediterraneo esiste un caso turco, è destinato a durare finché la potenza americana, la sola in grado di calmare le acque, condurrà la campagna elettorale a distanza. E non è detto che si finisca ai primi di novembre, se Trump, non rieletto, dovesse contestare l’esito del voto.
A proposito del Presidente americano: bisogna riconoscergli la perseveranza con cui insegue la “manovra delle ciliegie”, il frutto che quando attacchi a mangiarlo finisci tutto il sacchetto non importa quanto pesante. Dopo Emirati Arabi Uniti e Bahrein è il turno del Sudan a concludere un accordo di normalizzazione con Israele. Il caso è significativo, ancorché il Sudan sia lontano dalla scena mediorientale. Truppe del paese parteciparono ai conflitti contro Israele. A Khartoum, nel 1967, la Lega Araba pronunciò i tre “no” a qualsiasi intesa con Israele.
L’incoraggiamento viene da Washington che promette aiuti e copertura politica al nuovo Governo sudanese di civili e militari: ad un paese stremato dai problemi economici il sussidio americano è vitale. Molto si deve all’insistenza del Dipartimento di Stato. Pare che Pompeo telefonasse tutti i giorni a Khartoum per avere il via libera all’intesa, in tempo per presentarla nel bagaglio elettorale del Presidente.
La ricaduta attesa è presso l’elettorato ebraico. Tradizionalmente vicino ai Democratici, potrebbe apprezzare il pragmatismo forte dell’Amministrazione repubblicana e desiderare che continui così nel prossimo quadriennio. Strappare altre ciliegie dal gambo: Marocco, Tunisia e Arabia Saudita, il boccone pregiato essendo il Sovrano saudita il Custode dei Luoghi Santi di Makkah al-Makarramah (la Santa Mecca) e Medina.
di Cosimo Risi
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