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Le conseguenze del Covid sulla occupazione femminile (di Tony Ardito)

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Dal focus “Ripartire dalla risorsa donna” della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, emerge che tra il secondo trimestre 2019 e lo stesso periodo del 2020, l’occupazione femminile ha perso 470 mila posti di lavoro, per un calo nell’anno del 4,7%. Su 100 posti di lavoro persi il 55,9% sono delle donne. La differenza dell’occupazione maschile, che ha dato prova di maggior tenuta ha perso un 2,7% su 371 mila occupati. Cifre, queste, che forniscono ulteriori elementi di criticità della condizione femminile sul lavoro.

Le realtà lavorative, la rigidità del mercato del lavoro e la difficoltà a conciliare, da sempre, lavoro e famiglia hanno visto con la crisi un allontanamento delle donne. Nell’ultimo anno la tendenza, è cresciuta sensibilmente, facendo registrare tra giugno 2019 e 2020 un incremento di 707 mila donne inattive (+8,5%), soprattutto nelle fasce giovanili.

“Le donne apportano un contributo rilevante all’occupazione in termini di qualificazione e competenza, che non può disperdersi ulteriormente”. Ha dichiarato Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che tra l’altro ha evidenziato che solo nelle professioni intellettuali il 54% è donna.

A perdere il lavoro chi ha un contratto a termine, chi ha un lavoro autonomo, chi un part-time. I settori dove il calo delle donne è maggiore sono quelli ricettivi e ristorativi con il 50%. Seguono assistenza domestica, scuola, sanità, e pubblica amministrazione. L’impatto nei primi sei mesi dell’anno suona già quale forte campanello d’allarme in vista di contagi, chiusure e emergenze con la curva della pandemia che sale sempre di più.

Durante il lookdown della scorsa primavera le donne hanno gestito di fatto un sovraccarico di lavoro che il focus, ha definito “senza precedenti”. In quel periodo il 74% ha continuato a lavorare rispetto al 66% degli uomini.

Sono tutti elementi che rimarcano l’esigenza di attuare una forte strategia politico-istituzionale congiunta e da porre in essere su vari versanti: dal potenziamento dell’offerta e dell’accessibilità dei servizi che favoriscono la conciliazione vita-lavoro a percorsi formativi spendibili nel mercato del lavoro. Insomma, un’azione capace di sostenere concretamente l’occupabilità delle donne, arginando il rischio che molte di esse possano chiamarsi fuori dal circuito lavorativo.

di Tony Ardito

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