Proprio agli Enti che, in questi anni, hanno speso (e a volte dilapidato) notevoli risorse pubbliche senza alzare i livelli di efficienza delle prestazioni per i cittadini, ed altre volte non hanno neppure saputo utilizzare i puri ingenti finanziamenti messi a loro disposizione dalla stessa Unione Europea. La finta devolution è stata pagata in moneta sonante dal bilancio pubblico italiano con il trucco della Spesa Storica.
Gli effetti di questa singolare vicenda, nascosta dalla politica e neppure posta al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica dai mezzi di comunicazione, sono esplosi con la seconda fase della pandemia, sino ad arrivare alle accuse rivolte alle Regioni di nascondere i numeri dei nuovi contagiati o di non aver comunicato i posti letto per le terapie intensive, in tal modo provocando il sostanziale collasso del sistema sanitario nazionale. L’assenza di un piano nazionale sanitario idoneo ad affrontare la seconda ondata del virus sicuramente è ascrivibile al Governo, ma ciò non può nascondere altrettante rilevanti inefficienze regionali.
Ad esempio, è’ stato nascosto il report di 102 pagine redatto dall’Ufficio Regionale Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (svelato nel corso della trasmissione televisiva “Report”), il quale descriveva in maniera impietosa lo stato della sanità italiana anche in occasione della prima ondata del virus.
Ora, di fronte alla nuova e più pericolosa seconda ondata della pandemia, con la conseguente crescita dei contagiati e del collasso dei reparti di terapie intensive, Governo e Regioni si scaricano delle rispettive responsabilità sull’adozione di scelte necessarie e ritenute sgradite (tra cui rientra anche l’utilizzo del MES).
Nessuno, cioè, intende assumersi la responsabilità di compiere scelte non gradite, così realizzando l’effetto irrimediabile della diffusione dei contagi e dei morti che ne seguiranno. Questo, del resto, è il risultato di una politica costruita esclusivamente sui sondaggi e su mere preclusioni “ideologiche”.
La risposta dei “capetti” regionali non può più limitarsi alle battute da avanspettacolo, utili per una risata liberatoria, ma certamente estranee alla dovuta “serietà” di governo del territorio. Neppure il Presidente del Consiglio, in un crescendo di pura autocelebrazione, può propagandare DPCM ancora da approvare, fidando sul fatto che le comparse televisive (magari a reti unificate) possano arrestare il calo dei consensi. Il richiamo del Presidente della Repubblica, l’unico che ancora tiene la barra diritta, sul senso di responsabilità e sull’urgenza di scelte condivise, è sostanzialmente rimasto inascoltato.
Invero, la limitazione delle libertà di circolazione ed economiche non possono dipendere da una fantasiosa divisione del territorio della Repubblica, con utilizzo di criteri meramente cromatici, ma richiedono scelte generali ed omogenee di un lockdown, che solo apparentemente oggi potrebbe definirsi “parziale”.
E’ evidente che ciò che difetta in questo momento è l’idea dello “Stato”, e tanto proprio quando l’emergenza sanitaria ed economica richiede non solo un arretramento del “privato” – tanto osannato nel periodo del liberalismo à la page e dalla retorica incerta della sussidiarietà – ma un intervento sempre più penetrante (se non invasivo) dei pubblici poteri. Proprio in questo drammatico momento storico andrebbe valorizzato il ruolo dello Stato, la sua efficienza, l’efficacia delle sue iniziative, senza perdersi in trastullanti ed inutili diatribe dal vago sapore avvocatesco. Naturalmente, ciò richiederebbe una consapevolezza anche da parte delle opposizioni, che, ad oggi, mi appaiono trincerate su una logica di puro contrasto..
Mi rendo, amaramente, conto che questo “scatto” di orgoglio è impossibile chiederlo alla attuale classe politica, mentre, intanto, i morti aumentano e gli ospedali si avviano alla saturazione.
Giuseppe Fauceglia