La storia di Lorenzo: “La racconto per chi si ostina a fare le cene con gli amici”
L’uomo ha deciso di raccontare la sua esperienza per sensibilizzare coloro che ancora “si ostinano a portare la mascherina sotto al naso e fare le cene con gli amici”.
“Sto scrivendo di getto da un letto di ospedale”, è l’inizio del messaggio. Lorenzo, infatti, il 19 ottobre si è recato al pronto soccorso oculistico dell’ospedale di Arezzo per una lesione alla cornea. “C’erano moltissimi pazienti in attesa, tutti forniti di mascherina e gel igienizzante. Ma purtroppo in qualche modo il virus, o grazie alle difese immunitarie abbassate o per il fatto che inconsciamente mi toccavo spesso l’occhio, è riuscito a passare”.
Dopo 5 giorni, mentre era in ufficio, inizia ad accusare un leggero mal di testa. Tornato a casa, il termometro arriva fino a 37.3. Scatta l’isolamento volontario, quindi il test sierologico la mattina seguente: negativo.
Rientrato, la febbre questa volta arriva a 38.5: non compare nessun altro sintomo, ma nonostante “le quattro tachipirine 1000 che prendevo al giorno” la temperatura non si abbassa.
Passati altri 3 giorni, il medico richiede un tampone: “Purtroppo – continua Lorenzo – in tutta la provincia non c’era un posto disponibile ed ho dovuto aspettare altre 24 ore. Non volendo coinvolgere nessuno della famiglia, ho preso la macchina e sono andato da solo a fare il tampone al drive-thru ma già sentivo che qualcosa era cambiato, avevo il fiato corto e cominciavo a far fatica a parlare”.
In attesa dell’esito, il saturimetro ordinato “su Amazon” evidenzia “troppo poco ossigeno con troppi battiti. Il mio medico non si sentiva tranquillo ed preferito allertare l’USCA. Purtroppo anche loro erano pieni di pazienti da visitare ed io ancora non avevo il risultato del tampone, quindi non avrebbero saputo se ricoverarmi per in un ospedale Covid o normale”.
“Quando il giorno successivo l’USCA è arrivata – ha aggiunto – non riuscivo già più a parlare. Dalla camera al bagno il fiatone si faceva sentire. Respirare era difficile e mi sentivo come un pesce appena pescato. Boccheggiavo. Mi hanno subito portato al San Donato di Arezzo. Ho passato 50 minuti in attesa fuori dal pronto soccorso, perché seppur fossero le 22:30, c’erano altre cinque ambulanze davanti a me”.
Quindi, la drammatica notizia: “Dopo la visita e il tampone mi hanno portato in malattie infettive. Con l’RX torace si sono accorti che il polmone destro era praticamente collassato, e anche il sinistro era messo male“.
“Quando è morto il mio compagno di stanza sono crollato”: il dramma del Covid-19
Per 11 giorni Lorenzo ha tenuto il CPAP, il casco per respirare: “Ossigeno sparato a 60 litri al minuto, un rumore assordante e continuo che mi impediva di sentire quello che mi dicevano i medici. Ed io non potevo esprimermi che a gesti perché non avevo fiato e potevo solo concentrarmi sul respiro dato che non mi bastava l’aria”.
Da lì è stato trasportato in terapia intensiva, dove “è cominciato l’incubo. Tra catetere arterioso, catetere venoso, accessi periferici, catetere vescicale, sonde, tubi… ero limitatissimo nei movimenti e non potevo muovere bene le braccia per scrivere ai miei cari per cercare un conforto. Ero isolato”.
“Poi il mio compagno di stanza è morto, era lì accanto a me da tre giorni: a quel punto sono crollato. Il quarto giorno – ha aggiunto – hanno chiamato i miei per dirgli che mi avrebbero intubato. Non stavo migliorando ed era l’unica via percorribile. Quella notte miracolosamente gli alveoli hanno cominciato a riaprirsi“.
Quindi, la lenta ripresa: “Mi hanno riportato in malattie infettive con il casco, e da quel momento sto facendo una sorta di svezzamento da ossigeno. I polmoni sono ripartiti grazie ai volumi altissimi di ossigeno ed ora devo reimparare a respirare normalmente“.
Avrò perso circa 10-12 chili”.
Infine, l’appello: “Ho 35 anni, vado in palestra e sono in ottima forma fisica, non ho patologie pregresse, godo (godevo) di ottima salute. Sono sempre stato molto attento a disinfettare correttamente le mani e ho sempre tenuto la mascherina; eppure il virus è riuscito a passare. Penso al ragazzo di 39 anni di Livorno che è morto per un ritardo, penso al mio compagno di stanza, a tutti quelli che pur lottando non ce l’hanno fatta. Bisogna prevenire il virus a tutti i costi, fare sensibilizzazione e convincere gli scettici. Perché anche loro se ne renderanno conto quando una persona vicina sarà in fin di vita, ma sarà già tardi”.