Donald Trump rifiuta di “concedere” la vittoria all’avversario, da rituale dinastico della “Repubblica monarchica” (Sergio Romano).
Agita i sostenitori per una vittoria che dichiarò rubata a urne appena aperte. Come se una squadra di calcio si lamentasse dell’arbitro prima di scendere in campo.
Gli altri attori globali non aspettano che si consumi il rito della transizione alla Casa Bianca. Se fossero i truci nemici d’una volta, profitterebbero del vuoto di potere per l’attacco preventivo. Ripiegano verso manovre diplomatiche e militari sotto tono.
La Cina riconosce la volontà del popolo americano di cambiare rotta. Il che non significa che Washington ribalterà la strategia di ridimensionare l’influenza cinese e ridurre l’asimmetria nei rapporti commerciali. E’ pur vero che Pechino adopera l’enorme surplus per acquistare il debito americano: e dunque consentire a quei cittadini un tenore di vita superiore al dovuto.
La sua crescita desta inquietudine. Dal Mare della Cina, in definitiva il bacino naturale, all’Africa per finire all’Europa, l’espansionismo cinese è visto come una sorta di neo–imperialismo tanto soft quanto insidioso.
La Russia non è da meno, anche se le sue finalità sono meno nette. Lo stato dell’economia è modesto, si tratta di un sistema ancora monoculturale, basato sugli idrocarburi. Ha un apparato militare di tutto rispetto e una stabilità politica da far invidia alle nostre turbolente liberal-democrazie.
Lo sbocco nel mare caldo è la sua aspirazione di sempre. Un primo approdo è stato acquisito da anni in Siria, ora si consolida dopo l’aiuto all’amico Bashar al-Assad. Il secondo approdo è in Libia, nella Cirenaica di Khalifah Haftar. La Russia dispiega truppe e sistemi d’arma nel Golfo della Sirte a puntellare la regione e contrastare la presenza, in Tripolitania, della Turchia al fianco di Fayez al- Sarraj.
La mossa va letta in chiave anti–europea? O in chiave anti–cinese? La risposta all’interrogativo è cruciale per l’Europa, in particolare per Francia e Italia che, dall’attacco a Qaddafi in poi, si sono distinte per una non sempre limpida concorrenza. L’Alto Rappresentante da Bruxelles mira all’unità della politica europea, non sempre vi riesce dovendo mediare fra tendenze nazionali divergenti.
Si corre il rischio che in Libia si riproduca il modello Siria: la Russia stabilizza la situazione sancendo la bipartizione, gli europei sono chiamati a onorare il conto. Quello pagato in Siria ha significato accogliere i mille profughi delle mille guerre civili. Con la Libia l’acconto è già a carico di Lampedusa.
Si aspetta l’avvento di Joe Biden come salvifico. L’elogio che Barack Obama ne tesse nell’autobiografia ha il sapore della verità. Il candidato afro-americano era dapprincipio incerto se scegliere l’irlandese Joe come Vice.
Troppo distanti i due per inclinazione e età. Fu la differenza a produrre il valore aggiunto del ticket e cementare la futura amicizia. Obama pronuncerà l’orazione funebre in memoria di Beau Biden e si spenderà nella campagna elettorale 2020 per portarlo alla vittoria.
Biden ha larga esperienza internazionale, gli viene dall’essere stato nella Commissione Esteri del Senato e Vice Presidente per otto anni. Si orienta per personalità di spessore nei ruoli chiave dell’Amministrazione: Susan Rice al Consiglio di Sicurezza Nazionale e addirittura Hillary Clinton all’ONU. Assegnerà un incarico a Obama?
L’agenda del nuovo Presidente sarà fitta di impegni. Riguarderà i rapporti con gli alleati (Europa, Israele, Giappone) e con gli avversari (Cina, Iran, Russia). Le prime telefonate sono andate al Taoiseach irlandese per il dovuto omaggio alle origini, a Francesco per la comune fede cattolica, a Johnson, Macron, Merkel. Solo dopo a Conte. A tutti avrebbe promesso di lavorare insieme per la democrazia e la libertà.
di Cosimo Risi